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Feroce “Il Padre” di August Strindberg

| ANCONA - Umberto Orsini interpreta il Capitano “spodestato” dalla rivoluzione femminile

di Andrea Carnevali


Dopo l’esperienza di Ibsen, Castri approda al Teatro delle Muse con il dramma “Il padre” di August Strindberg, uno dei suoi testi più emblematici dell’Ottocento, per rappresentare il feroce scontro per l’emancipazione femminile.

Nell’opera teatrale è forte la dimensione della libertà dell’uomo dalle catene in cui la “mediocrità” della vita quotidiana diviene meta e senso della storia. Con il testo teatrale di August Strindberg s’imprime il proprio “marchio al maschio” che è in grado di debordare, in grado di piegare, estendere o contrarre il desiderio femminile a suo piacimento. Il padre, interpretato da Umberto Osini, deve fare i conti con la rivoluzione femminile che è in corso.

Lo spettacolo alle Muse, andato in scena, il 10 novembre alle 21.15 ha portato un’innovazione a teatro: la dimensione del linguaggio filosofico che diventa emotività del parlare. L’ideologia di Nietzsche emerge dal tono forte e deciso con cui Umberto Orsini pronuncia i suoi discorsi, dalle parole verso le due donne, il passato glorioso e la guerra. Un allestimento dai colori freddi che inondano tutto il palcoscenico: blu, celeste, viola i quali divengono simboli che traducono i dolori, le violenze e le amarezze del Capitano. Un’atmosfera ferma, un gioco di luce, che quasi non si percepisce il ben che minimo movimento.

Nell’interpretazione di Umberto Orini emerge la passione e il sentimento maschili che sono stati chirurgicamente raccontate nel primo e nel terzo atto. Attraverso lo sviluppo degli avvenimento storico-sociali il Capitano perde la propria identità non solo di maschio e padrone di casa, ma anche di uomo. Il dissidio coniugale porta Laura, moglie del Capitano ad installare nel consorte, magistralmente interpretato da un grande Umberto Orsini, attore che è stato apprezzato dal pubblico anconetano, il dubbio che la figlia non sia in realtà sua bensì di un altro.

La vita dell’uomo ne rimane turbata e l'apparente sicurezza del Capitano si rivela in tutta la sua fragilità fino alla tragica caduta di una ragione ormai minata. Ne “Il padre” si trova una zona intermedia tra la vita e la morte, all’interno di una dimensione oscura fatta di paura, di ferocia e di morte. Massimo Castri riesce a marcare i personaggi in chiave introspettiva, che sono letti attraverso strani attrezzi, materiali poveri, quadri scenografici essenziali, che sono liberi di muoversi sul palcoscenico come mezzi di conversazione con il dramma umano.

L’allestimento scenico di Marzio Balò è stato pensato in chiave psicologica. La logica dell’allestimento rimane legata ad una specie di fisicità oggettiva e d’indipendenza dei significati che il rapporto tra i due coniugi si sviluppa durante la rappresentazione. La trama gestuale elementare, ma sontuosamente ricca di rimandi allusivi che gonfiano i ritmi interni del dramma, getta una luce livida sulle più sfumate variazioni degli stati d’animo dei personaggi.

Gli oggetti nella rappresentazione scenica richiamano la fragilità femminile e le contraddizioni della natura umana, ostaggio delle sue stesse debolezze nella lotta dell’uno contro l’altro. E infatti nel dramma tutte le situazioni visive nella scenografia di Maurizio Balò, le stanza arredate in stile nordico, la porta di dimensione spropositate, la finestra gigantesca da cui proviene una luce abbacinate rimpiccoliscono la statura degli attori che sempre più perderanno “consistenza di uomini” nel terzo atto.

Nella personalissima visione di Massimo Castri i personaggi sono in preda ad una rivoluzione sociale che non li farà più riconoscere.




14/11/2006





        
  



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