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Porto o non porto è questo il problema?

San Benedetto del Tronto | Continuando a passeggiare...

di Renato Novelli


Essere o non essere non è un problema, ma una tautologia. Come dire A o B, coleottero o automobile, non si “predica” nulla. Così scriveva Reichenbach, campione del neo positivismo logico. Ma Porto e non porto è un’antinomia. A Porto d’Ascoli c’è il porto nel nome, ma non c’è nessun porto. Il porto un tempo ci fu. Sarà stato un approdo ligneo, come ce ne erano tanti nel Medioevo. La foce del Tronto, dicono gli storici, era allora più a Sud. Era anche più ampia. Secondo una testimonianza del Trecento la bocca del fiume contava sessanta metri. La costa era in gran parte impaludata e la Sentina non aveva uno sbocco al mare. L’area tra il Ragnola e il Tronto era coperta da una foresta che si chiamava Selva Giurata.

Le erbe del periplo della Sentina, d’inverno, sfamavano greggi nomadi di pecore, che la selva inghiottiva nel nulla. Gli abitanti di Monteprandone dichiaravano l’intenzione di intervenire, ma non avevano milizie per combattere il male oscuro dell’abigeato. O forse erano loro stessi guardie e ladri. I Capitani di Ascoli inviarono un presidio di abitanti nell’area della Sentina. Potremmo dire Porto d’Ascoli Neanderthalensis. Perché quel centro abitato come l’Homo di Neasrdernthal si è estinto, non prima di avere aperto un canale di comunicazione tra la Sentina e il mare credendo di sconfiggere lo “malo aere”. Non esistevano gli ambientalisti e nessuno protestò. San Benedetto Castello, in fondo, ha subito uno sviluppo insostenibile, ma si è espanso, pur cambiando identità, per allargamenti successivi. Da Castello a borgo marinaro, a città turistica a centro di terziario: l’anima si è perduta, ma le tracce di ogni fase sono visibili. Porto d’Ascoli, come le metropoli dell’antichità, è mutata fino a far scomparire quello che c’era prima delle mutazioni.


Le tracce sono labili e bisogna scoprirle. Questi pensieri accompagnano il passeggiatore, quando dal Lungomare gira verso Via Mare ed ha nel raggio di visuale un villino di caccia con dipinti di anatre selvatiche tra palazzi nuovi, e i negozi della piazza. I palazzi e il villino sono come il Circo Massimo e la sede della FAO a Roma: diverso lo spessore del tutto, ma uguale lo stridore dei due mondi rappresentati. L’emozione corre ad un paesaggio che non c’è più. Via Mare è elegante, negozi, negozi, negozi. Una vera società del leisure, del tempo libero da imprigionare nei consumi. Ha meno Glamour, forse, di Corso Moretti, ma più efficienza espositiva.

Ma lungo questo corso, non vi è traccia della frazione di Monteprandone, organizzata attorno all’economia agraria della zona. E più avanti passato il sottopassaggio della Ferrovia, solo un viandante astuto potrebbe credere che lì, dove ora negozi, bar, centri amministrativi, fioriscono, un tempo c’era una fabbrica di cassette per la frutta e il pesce che si chiamava Florentia ed impiegava più di trecento operai. O che svoltando a sinistra, tra negozi raffinati, si calpesta il suolo di un magazzino ortofrutticolo appartenuto ai Fratelli Parracciani.

Avanti verso la Statale, aspetta la caserma Guelfa. Non è l’edificio più rilevante storicamente che l’intera San Benedetto possa vantare ? E la torre che la sovrasta lungo il pendio della collina, non è forse il simbolo più puro, cioè senza altre motivazioni, se non la difesa del piccolo, popolo locale dalle incursioni dei pirati ? In una illustrazione del Seicento che Lucilla De Niccolò ha trovato a Londra un lustro fa circa, la caserma Guelfa è un edificio solitario, con due file di alberi verso il mare e una strada che porta alla Torre.

“La spiaggia,dunque del mare Adriatico soggetta a Vostra Santità, incomincia dalla foce del fiume Tronto nel confine d’Abruzzi e termina alle foci del Po”. Così recita le relazione dell’autore dei disegni sulle fortezze dello Stato Pontificio. Pensieri come nuvole. Porto d’Ascoli fu minuscolo borgo del porto di Ascoli, poi fu paese agrario, poi centro ortofrutticolo della valle, centro di immigrazione verso la costa dai paesi, poi centro industriale, poi area della microimpresa. I mondi sono comparsi e spariti. Porto d’Ascoli passa alla sesta estinzione come la terra intera negli studi di Richard Leakey, teorico dell’evoluzione del pianeta per grandi salti traumatici.

Eppure ha avuto una caratteristica costante: è sempre stata una terra di confine. San Benedetto fiorì per la pesca, anche perché era area poco regolata, dove non c’erano gendarmi a ritirare le gabelle, ma Porto d’Ascoli era il vero confine. La linea passava di qua, a poca distanza dalla Caserma Guelfa, ai margini della Sentina. Dalla Caserma Guelfa verso Sud. Arriva allo sguardo del passeggiatore, quello che fu il crocevia più importante dell’intera costa picena. Un altro confine, quello tra il mare e l’interno. Il capolinea della Salaria moderna.

Il bar d’angolo, un tempo, fu crocevia di idee, di programmi e di scontri verbali appassionati. Giocavano a carte comunisti e democristiani, Gregori poi sindaco, Giuliano Silvestri poi deputato, Franco Paoletti e l’amico della città Sabatino D’Angelo. Gregori e Sabatino sono morti a dieci anni di distanza, entrambi a 47 anni. Tutto è cambiato. Se si cammina avanti si scopre che ora l’accesso all’interno si è spostato sulla super strada, dove l’Hotel Quadrifoglio è l’unico edificio precedente agli anni più recenti. Prima di arrivare fino lì, una lunga strada, ardua per il traffico al passeggiatore, è la vetrina dei centri commerciali costruiti ai limiti degli incasasati, che sono stati superati dai grandi centri costruiti poco dopo agli svincoli delle autostrade e delle superstrade.

Ma la lunga via ha centri ancora efficienti o negozi specializzati all’ingrosso dove si fanno buoni acquisti. Ma il confine dov’è finito ? Il confine come storia sociale e anima del luogo, forse è diventato uno svincolo. La sua anima forse è il consumo, il quale è stato il cemento di unificazione più potente delle società post . industriali. Cioè il contrario di un confine che tradizionalmente ha sottolineato le differenze o le sfumature della diversità in aree atipiche. E torniamo a Porto d’Ascoli come antinomia. Il paradosso richiede altre passeggiate. Anche se come ogni paradosso rispettabile, non è risolvibile. O No ?

02/09/2006





        
  



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