La casa bassa marinara e il passeggiatore che se ne innamorò
San Benedetto del Tronto | Chi vuole, fuggire dalla società della vacanza, come essa si presenta qui, a San Benedetto, può evadere, con indifferenza, da Piazza Matteotti e imboccare Via Volturno...
di Renato Novelli
Camminare senza meta, dà un gran piacere. Intanto ci dà la sensazione del vagabondaggio che non è il non far nulla, ma il pensare e l’agire intenso che non hanno uno scopo chiaro, economico e calcolato. In secondo luogo il passeggiare in zone nuove o meglio ancora in zone già viste con uno sguardo nuovo, ci libera dalla tirannìa del tempo libero. Ma che dici, dirà il turista che guarda le vetrine dei negozi in Via Moretti. Invece è così.
Da quando Dumazedier con il suo saggio “La società del Leisure” ci ha fatto capire che siamo entrati nella nuova dimensione di vita in cui gli interessi del tempo di riposo sono più importanti della nostra collocazione nel tempo di lavoro, il cosiddetto tempo libero è stato trasformato in un dominio molto faticoso, tanto per non perdere l’abitudine al’oppressione che ci accompagna da alcuni millenni. Chi va in bicicletta deve sapere tutto sui mozzi delle ruote ed altro per diventare schiavo della sua bici. Chi pratica il turismo eno – gastronomico deve diventare assaggiatore quasi professionale ed abbonarsi almeno a 4 riviste. E così via.
Chi vuole, fuggire dalla società della vacanza, come essa si presenta qui, a San Benedetto, può evadere, con indifferenza, da Piazza Matteotti, lasciandosi alle spalle la fontana dei delfini, ricostruita con dei mattoni troppo nuovi e imboccare Via Volturno. Qui vengono incontro al passeggiatore case rinnovate e case più tradizionali. Alcune di queste presentano la memoria costruttiva della casa bassa marinara che fu la costruzione tipica delle coste per tutto il tempo della società delle comunità di pescatori.
Le case basse e poverissime sono note nelle grandi città mediterranee (i bassi napoletani, per esempio), ma dal lontano Medioevo invadono i borghi più poveri delle coste. Un certo Cabanilles le descrive in una Valencia fondata da poco, nel 1364: due pareti mal costruite, parallele, alte cinque piedi, coperte di paglia Le barracas (così le chiama) variano per dimensione e per le comoditá di cui dispongono all’interno: per lo piú sono povere ma sufficienti per contenere le reti e i pochi mobili dei vecinos che vi abitano”. Case basse marinare, io le ho viste a Stintino, in Sardegna e a Songkla nel Sud della Tailandia, mi è capitato di vedere case basse cinesi vicino alla spiaggia. Tetti rossi ricurvi e alti, una sola stanza.
La casa bassa del vecchio borgo della nostro microcosmo, aveva una porta e una finestra, un tetto di coppi tradizionali, una stanza all’interno o due nel migliore dei casi, un fuoco per scaldarsi d’inverno. In primavera ed estate si viveva sul marciapiede dove le donne tessevano la rete, pulivano le verdure, cucinavano il pesce arrosto sul carbone. Torniamo in Via Volturno. Non ci sono case basse originarie, ma se il passeggiatore sfaccendato ha occhio vede sette vecchie case che derivano dalla casa bassa.
Si nota la costruzione bassa ad un piano, poi innalzata. Oppure si vede che la casa era già in partenza un miglioramento della casa bassa tradizionale. Nicola Genziani, esperto dall’occhio acuto, le chiama case basse estese. In Via Volturno ben 7 vanno incontro al passeggiatore. Al numero 44, la casa è nuova, ma porta le nobili tracce dell’edilizia povera di tanti anni fa. Da Via Volturno si gira in Via Aspromonte e dopo pochi metri, una bella casa rossa al numero 57, ricorda che il mondo povero fu a misura di famiglia più che i palazzi della società sviluppata. Al 29, un’altra casa estesa, ha sulla facciata una piccola statua della Madonna.
Negli anni cinquanta, lì una conchiglia portata dal profondo del mare, aveva una eco che recitava il Santo Rosario. Cosa notevole perché delle centinaia di madonne che apparvero nel secondo dopoguerra e degli eventi miracolosi che accaddero in quegli anni di profondo cambiamento, nulla venne dal mare.
Si passa in Via Palestro. Si vedono ben 6 case estese. Al numero 34 rimane solo una facciata. Ma al numero 65, ecco l’apparizione che ha il valore di un prodigio: l’ultima casa bassa tradizionale. Così bassa che il tetto è meno alto di molti giovani di oggi. In totale rovina. Nessuno se ne cura, eppure la comunità locale si occupa molto della civiltà marinara. Sic! Altre case estese si vedono in Via Custoza e Via Solferino. Basta continuare a camminare secondo un modulo serpentino, via per via, da Sud a Nord, dal lato monte al lato mare. Passano ai passi del passeggiatore Via Custoza e Via Solferino. Due case estese. In Via Castelfidardo al 37 e al 35 due case estese rialzate su tre piani. Il più alto, più basso degli altri, serviva a lasciare aperta la possibilità di alzare ancora. Oramai il passeggiatore casuale si è fatto un’idea della nostra storia locale, della vita intensa di via che esisteva un tempo. Ora può tornare verso il centro raggiungere il tempio del mondo scomparso: Via Laberinto e Via del Gallo. Due case basse tradizionali. Ancora vissute. Che emozioni vere.
Da Via Laberinto verso Sud, si gira in Via Crispi per raggiungere Vicolo degli Orti. Qui si vede sulla parete di una casa una vecchia latrina, di quelle che venivano aggiunte alle case. Poi una casa bassa tradizionale dietro un cancello chiuso. Se da qui, si va per caso verso la stazione, nella piazza in pieno giorno, mentre scendono turisti dai treni in ritardo e i taxi sono immobili, un topo attraversa la piazza. Non è un buon biglietto da visita per San Benedetto.
Come non lo è l’abbandono delle poche case base rimaste. Che importa? Allegria. Sul Lungomare le luci sono sfavillanti, come erano quelle del Titanic. Ma scherzo, San Benedetto non affonderà, anche se abbiamo fatto di tutto per un sano naufragio. In fondo discendiamo da marinai.
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10/08/2006
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