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Culture umane e futuro del pianeta

San Benedetto del Tronto | E’ possibile mettere in questione la nostra identità di uomini occidentali…?

di Fabrizio Marini


Noi, oggi, non vediamo di essere in pericolo. Certo siamo invasi da informazioni negative che riguardano i gravi problemi della politica internazionale, della guerra, dell’immigrazione, dei delitti efferati che paiono moltiplicarsi di giorno in giorno…ma tutto ciò non ci riguarda direttamente. Tutto ciò può riguardare gli altri, il mondo, non noi stessi. Ma è proprio per questo che rimaniamo fermi, tutti la pensiamo in tale maniera, anche coloro che commettono delitti, che dirigono la politica, che fanno parte di famiglie destabilizzate. E per questo nulla cambia.

Quello che voglio dire è che non abbiamo la sensazione diretta di un pericolo incombente, non vediamo. Per cambiare il destino di un pianeta che appare “non roseo” dovremmo avere tutti quella sensazione che si ha quando d’improvviso, in mezzo alla campagna, avvistiamo vicino a noi un serpente. In quel momento agiamo: vediamo e agiamo.

Ora noi non agiamo. Quindi non vediamo il serpente che pure è in agguato.
Il fatto che non agiamo è causato evidentemente dalle profonde convinzioni che abbiamo su noi stessi e sul mondo, convinzioni che la cultura occidentale ci ha instillato sin da quando siamo nati. Le culture sono delle vere e proprie lenti con cui diamo significato a ciò che ci circonda.
Questo fatto non è irrilevante, perché noi riteniamo invece che ciò che vediamo e pensiamo si riferisca alle cose in modo naturale, ovvio…Non è così.

Su questa base la rilettura di un grande classico della spiritualità, il Tao della filosofia di Alan Watts rappresenta uno spiazzante esempio di quanto sia relativo e vacuo il modo imperante con cui ci relazioniamo con l’altro, che sia la natura o un uomo a noi diverso.

Analizziamo per un attimo il significato che diamo alla parola “Io”. Non siamo stati forse educati a pensare che la nostra identità risieda dentro il nostro corpo ? E che gli altri e le cose siano separati da noi ? E’ evidente che sentendosi confinato nel proprio corpo l’uomo avverta una sorta di manchevolezza essenziale, che cerca di colmare investendo il mondo esterno dei suoi desideri.

Si tratta probabilmente dell’eredità di una concezione filosofico/religiosa per cui le cose del mondo a loro volta furono “costruite” separatamente da un architetto eterno e legate assieme da leggi estrinseche, formando una sorta di enorme meccanismo, un orologio le cui diverse parti non hanno in sé nulla da spartire le une con le altre. E tale meccanismo si pensa sia stato consegnato nelle mani dell’uomo, unico essere consapevole e intelligente del creato.

Tale presupposto è alla base della stessa scienza moderna per cui tutto è disponibile a farsi modificare, distruggere o ricreare, proprio perché non ha nessun legame con la ragione umana.

L’impegno dell’uomo teso alla trasformazione e alla conquista del mondo e dello spazio deriva proprio dalla consapevolezza di essere, in fondo, l’unico organismo intelligente del pianeta e fors’anche dell’universo. L’uomo per questo si sente straniero in un sistema fondamentalmente stupido, a cui occore trasferire la logica della mente umana. Tutti riteniamo che le cose in sé non abbiano un senso se l’uomo non è lì a marchiarle con un significato.

Tale tensione che l’uomo instaura con la natura e con gli altri uomini è dunque figlia di una concezione che isola l’identità, la coscienza di sé, all’interno di un corpo finito e corruttibile.
Tale sensazione, tale modo di sentirsi al mondo è risultata vincente, o apparentemente vincente, proprio perché instaura con ciò che ritiene diverso, un’opera di colonizzazione, conquista, che nei secoli hanno avuto significati ben più accettabili, come civilizzazione, progresso…

Dunque, con un’analisi quasi psicoanalitica, concludiamo che al centro delle più alte conquiste della ragione si cela un’ansia irrazionale, una paura legata al fatto che ci sentiamo assolutamente soli, gli unici esseri intelligenti in un universo freddo e meccanico…

Se si prova a interrogare un uomo appartenente alla cultura estremo orientale, un indiano o un cinese, sempre che non siano stati ancora cooptati dalla nostra visione, probabilmente si scoprirà che l’identità, il sé, non è per loro coincidente con una sorta di “centrale” posta all’interno della testa, ma avrà una localizzazione corporea: il cuore, e con esso coinvolgerà tutto il corpo della natura.
In altri termini l’Io non è per loro qualcosa che è stato immesso al momento della nascita in un corpo finito e separato, ma è una parte vivente, palpitante di un intero organismo, il cosmo.
Non si provi nemmeno per un attimo a bollare queste considerazioni come new-age o cose del genere. Si dovrebbe parlare invece di old-age visto che tali culture hanno una durata che supera in antichità le stesse civiltà mediorientali da cui noi deriviamo la visione del mondo.

La sensazione di essere qualcosa di vivente che appartiene a un corpo universale: la natura, il pianeta, l’universo…cambia radicalmente il modo di rapportarsi alle cose e agli altri uomini.
In tal caso cessa la convinzione che l’intelligenza sia dentro la nostra testa, frutto di una evoluzione casuale, partita da una roccia non intelligente. In tal caso si pensa che l’uomo è intelligente poiché fa parte di un universo intelligente. Tra la roccia e l’uomo si scopre una continuità che poggia su una coscienza unica. Facciamo un esempio.

Immaginiamo un albero grande e florido in piena primavera. Immaginiamo che le foglioline in cima all’albero prendano coscienza di sé e del minimo spazio con cui sono attaccate alla vita. Esse vedono le altre cadere, e sanno che ciò accadrà anche a loro, e perciò teorizzano di una esistenza effimera che le porterà celermente alla morte. Su tale base organizzano un sistema di vita basato sulla strenua lotta per prolungare ciò che loro ritengono vita. Ebbene esse non si rendono conto di essere lo stesso albero ! Che ogni loro movimento e crescita è il movimento e la crescita di tutta la pianta ! Che la loro lotta per rimanere in vita in quanto esseri separati è un non senso poiché esse sono già da sempre legate a tutto l’organismo !

Noi siamo quelle foglioline. Siamo la crescita dell’intero universo. Se noi facciamo qualcosa è perché l’intero lo sta facendo e lo vuole. Ne deriva che ogni nostro gesto contro le cose e gli altri non è che un offesa portata alla nostra più profonda identità, poiché il mondo cosiddetto esterno è il prolungamento del nostro corpo.

Se di fronte a tale nuovo sentire abbiamo una reazione di sdegno o sorridiamo come se avessimo a che fare con qualcuno che ha smesso di ragionare ebbene, questo è proprio il segnale della violenza che noi esercitiamo ogni qual volta una concezione del mondo diversa dalla nostra tenta di spiazzarci, di spaesarci…

Una obiezione potrebbe essere rivolta a ciò che abbiamo tentato di mostrare: se le culture sono delle lenti che deformano ciò che appare, allora anche le culture non omologate nella visione dominante saranno pur sempre una deformazione di ciò che è. Ebbene riteniamo che le culture più antiche, come quelle estremo-orientali avessero una sensibilità per l’intero della vita più sviluppata delle culture che si sono poi succedute. La nostra civiltà occidentale ha dismesso quella sensibilità, per concentrarsi sul proprio ego, arrivando a dimenticare la sua origine e credendo che l’Io sia separato, che abbia una essenza assolutamente diversa dal resto, e che da questo “resto” debba difendersi. Ma si tratta come evidente di un sogno, di un incubo pericolosissimo.

Se da tale incubo l’uomo potrà svegliarsi, si accorgerà, come dicemmo, di avere ai suoi piedi un serpente velenoso, e di certo non potrà che agire di conseguenza… 

17/07/2006





        
  



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