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Le due anime del sommerso nelle Marche, dall’industria ai servizi

| ANCONA - Convegno alla Facoltà di Economia, promosso dall’assessorato regionale al Lavoro. L’indagine illustrata dal direttore del Censis, Giuseppe Roma.

Il lavoro sommerso, pur presente nella realtà regionale, non ne costituisce tuttavia un elemento strutturale: è questa l’indicazione che emerge con maggiore evidenza dalla ricerca commissionata dall’assessorato al Lavoro della Regione Marche e condotta dalla Fondazione Censis, illustrata oggi, presso la facoltà di Economia di Ancona, nel convegno “ Caratteristiche e scenari del lavoro irregolare nelle Marche “.

L’analisi, infatti, riscontra per le Marche un’incidenza del lavoro irregolare del 10,7%, inferiore a quella nazionale (13,4%) e alle regioni del Centro (12,3%). Le stime Istat segnalano addirittura una diminuzione (il tasso di irregolarità del lavoro è passato dal 13,9% del 2000 al 10,7% del 2003) dovuta presumibilmente alla regolarizzazione di numerosi immigrati in nero. La corposa ricerca è stata realizzata su un campione di 80 testimoni privilegiati locali: associazioni imprenditoriali, sindacati, istituzioni e ordini professionali.

Introducendo i lavori del convegno l’assessore regionale Ugo Ascoli, ha sottolineato che la dimensione del fenomeno dell’economia sommersa nella nostra regione, pur non essendo grave come in altre regioni italiane, soprattutto meridionali, non è tuttavia trascurabile. L’indagine mette in evidenza che il sommerso riguarda più il settore dei servizi che non quello industriale e in particolare l’edilizia, dove, in correlazione, è più alto anche il numero di infortuni sul lavoro. Secondo Ascoli , il fatto che il sommerso coinvolga le fasce più svantaggiate (lavoro femminile, basse qualifiche, lavoro immigrato o minorile) deve creare la consapevolezza di un fenomeno socialmente deprecabile e come tale da combattere.

“Con quali strumenti?” Si è chiesto Ascoli. “Con il sostegno all’imprenditoria giovanile, riducendo i fattori di svantaggio per la competitività delle imprese, con una maggiore attività ispettiva e repressiva, con il consolidamento dei fattori dell’innovazione e della qualità produttiva.“ E’ riscontrabile infatti che quando il valore aggiunto della produzione e quindi di manodopera qualificata, si concentra sulla tecnologia, l’innovazione, l’internazionalizzazione, per l’impresa l’incentivo ad utilizzare il sommerso è basso.

Nella nostra regione esiste un sommerso di tipo tradizionale e uno di tipo post-industriale, caratteristica che ha fatto parlare il direttore del Censis, Giuseppe Roma, di “doppia anima del sommerso marchigiano”. Il primo è fortemente legato alle caratteristiche del sistema produttivo, di cui ha rappresentato forse uno dei principali motori di crescita, il secondo è cresciuto all’ombra dei processi di terziarizzazione che hanno fatto progressivamente trasmigrare l’irregolarità, d’impresa e di lavoro, dall’industria al terziario.

“Queste due anime ancora coesistono.”, ha detto Roma. La prima sopravvive in alcuni specifici comparti del manifatturiero e si presenta come sommerso parziale, fatto di fuoribusta, di utilizzo improprio dei contratti, di sottodichiarazioni: insomma di tutte le forme di elusione delle norme. Il lavoro totalmente irregolare trova spazio solo nei confronti di specifiche categorie di lavoratori: doppio lavoristi, pensionati, percettori di sussidi o integrazione al reddito. Il sommerso post industriale è, invece, in crescita.

Legato alla terziarizzazione, ma non estraneo all’industria, tende ad assumere i tratti tipici dell’economia terziaria. Assume forme più pesanti in quei contesti – servizi a domicilio, turismo, trasporti – dove l’invisibilità dei luoghi di lavoro, la stagionalità, il basso livello di qualificazione, sono gli elementi caratterizzanti. Viene totalmente esclusa, nelle Marche, la possibilità che il sommerso sia determinato dall’ingerenza di fenomeni criminali e tanto meno dalla carenza di aree industriali. Al convegno sono intervenuti anche Stefano Staffolani e Carlo Carboni, economista e sociologo dell’Università Politecnica delle Marche, e Lea Battistoni del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

07/03/2006





        
  



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