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Ricordo di Reno Filippini

Ascoli Piceno | In occasione della partita Inter Ascoli Federica Poli fa scivolare i suoi ricordi a quel 9 ottobre del 1988

di Federica Poli

Ero poco più di una bambina quando per le scale del vecchio palazzo di Campo Parignano, dove abitavano i nonni materni, incontravo un ragazzo bruno, alto, segaligno, con la faccia che osavo definire “brutta” nei racconti tra bambini. Avevo una inspiegabile paura di quell’uomo che, quando mi vedeva tremare come una foglia, rideva e aggrottava la fronte facendo spallucce ai miei genitori. E, ormai, era diventato lo spauracchio per quando non volevo mangiare, risuonano nitide le parole di mia madre “Se non mangi, chiamo Reno”.
Reno Filippini.

L’Ascoli ancora una volta scenderà in campo contro l’Inter e questo porta il pensiero a quel ragazzo a quel viso sorridente. Penso a quelle fredde scale. Sembravano interminabili. Sembravano inghiottirmi. Poi il l’aprirsi della porta di quello strano dirimpettaio di mia nonna. Mi fermavo qualunque cosa stessi facendo. Ero terrorizzata senza sapere il perché.

E Nazzareno rideva. Come potevano occhi ridenti incutere così tanto terrore?
Reno, non un santo, un ragazzo come tanti altri, con l’età viziata dagli adolescenziali errori dettati solo dall’incoscienza e dall’impeto giovanile. Quelli che più o meno abbiamo commesso tutti.
Stava per sposarsi, Reno. Aveva messo la testa a posto, Reno. In casa mia si parlava del regalo di nozze.

Partita contro l’Inter al Del Duca addì 9 ottobre del 1988. Nazzareno abitava a pochi passi dallo Stadio. Filippini amava l’Ascoli. Non fece più ritorno. Reno non salì più quelle scale. Non varcò più la soglia.
Son tornata mille altre volte a casa di mia nonna, ho attraversato quel pianerottolo, ho guardato quella porta. Non più paura. Niente più timori. Non il cuore in gola alla vista di quella persona. Nulla più. Solo il senso di vuoto di una bambina a cui hanno portato via l’uomo nero. Il cattivo. L’orco.
E quando penso a Reno sorrido tristemente, aggrotto la fronte, faccio spallucce all’ingenuità dell’infanzia.

Oggi con gli stessi occhi di una bimba spaurita lo vedo ridere mentre chiude la porta dietro di sé e mi par di osservarlo gongolare per avermi concesso un’illusione.
L’utopica speranza che il male della vita possa essere solo un ragazzo che scende le scale di un vecchio palazzo dell’epoca fascista.

03/12/2005





        
  



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