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Il mito del Natale

San Benedetto del Tronto | Come nasce un grande mito. Il rito puntualmente si rinnova tra consumismo e tradizione. Quasi in tutto il mondo lo celebra, ma i significati sono diversi e c’e’ chi coglie le radici pagane.

di Tonino Armata


La tradizione del Natale, come qualsiasi altra, ci rimanda all’interrogativo delle sue origini e, forse, più d’altre feste, alle origini delle nostre società occidentali, perché non c’è dubbio che sia una delle ricorrenze più antiche. Anche di questa straordinaria continuità nel tempo occorre trovare le ragioni: ragioni delle funzioni sociali che continua a garantire, dei simboli che incarna ancora e dei sentimenti che ispira da sempre.

E’ la festa del solstizio d’inverno, poi diventa la festa cristiana della Natività, che ci rimanda all’alba dei tempi e all’inizio della nostra era; evoca riti lontani, mitologie arcaiche. Questo fatto spiega certamente come mai dà luogo a teorie disparate e spesso contraddittorie, sia riguardo alla data della sua apparizione sia per i riferimenti pagani o cristiani, sia ancora per le specificità culturali e geografiche.

Senza entrare nel dettaglio delle interpretazioni teologiche, folcloriche e di storia delle religioni, è in ogni caso possibile fare una distinzione tra due grandi filoni tematici. Il primo è quello che vuole evidenziare le radici pagane di una festa cristiana, mettendola in relazione con i riti del solstizio d’inverno: è la strada seguita dagli storici e dagli studiosi di mitologia. Il secondo, invece, vuole fondare le sue origini puramente cristiane sulla modalità di una rottura con il mondo pagano: è quello che tendono a fare piuttosto i teologi.

Il solstizio d’inverno, dal latino sol (sole) e stare (fermarsi), che significa letteralmente “arresto del sole”, segnando la fine del declino del sole, ne annuncia anche la rinascita. Questa “transizione astronomica” ha sempre impressionato gli stessi umani: fa riemergere antiche paure, il timore di non vedere più risorgere il sole. E’ anche un periodo pericoloso in cui i morti insidiano i vivi. S’intuisce allora come il sole sia stato ben presto oggetto di culti diversi, come attestano molti indizi in tutta l’area europea, e che abbia dato alla fine luogo alla creazione di una teologia solare che sarà determinante nell’emergere del monoteismo cristiano e della quale diversi elementi saranno reinterpretati nella festa del Natale.

Dal nord al sud l’Europa ha dunque conosciuto celebrazioni del solstizio invernale. La festa di Yule, per esempio, era diffusa in tutta la Scandinavia ed era una celebrazione dei morti come della fertilità che ben illustrava l’incontro tra le culture funerarie e quelle agrarie. Faceva parte di quelle che Mircea Eliade definiva “riti di rigenerazione del tempo”. Per i popoli nordici questo era un periodo favorevole al riavvicinamento dei vivi con i morti che, al culmine della festa, invadevano il mondo per favorire un ritorno alla via assimilabile a quello che si osserva nel regno vegetale. In uno schema culturale che definiremmo “agricolo” dunque, la morte è semplicemente una condizione provvisoria e le lunghe notti invernali che favoriscono questi culti anticipano già la rinascita della vegetazione.

A sud, nell’Impero romano, proprio nello stesso periodo si poteva assistere alla ripresa di una delle feste più antiche e più popolari della religione romana. I saturnali, che si svolgevano fra il 17 e il 24 dicembre. La libertas decembris cantata da Orazio celebrava il regno di Saturno, il dio delle sementi e dell’agricoltura. Era il sovrano regnante in quell’età dell’oro che non conosceva la schiavitù e la proprietà.

La fine dell’anno era per questo riservata alle più sfrenate licenze; l’ordine gerarchico era sistematicamente rovesciato: il fatto più caratteristico era l’abolizione della distinzione tra libero e schiavo tanto che quest’ultimo poteva prendersi gioco del padrone, poteva bere e scatenarsi come lui. Il re dei Saturnali, un giovane soldato scelto per sorteggio, terminava la festa dandosi la morte dopo aver gustato ogni piacere per trenta giorni. La presenza dei morti, il sacrificio come le orge, segnava così la fine dell’anno. Gli ultimi giorni, in occasione della festa della Sigillaria, i Romani si scambiavano regali, organizzavano festini e decoravano le case con l’edera. E’ questo senza dubbio, il più antico ricordo del Capodanno.

26/12/2005





        
  



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