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La notte del Santo Natale 1943

San Benedetto del Tronto | Un episodio dell’anno dei bombardamenti, perché lo sfavillio dei nostri giorni, non cancelli la memoria.

di Pietro Pompei


Non avrei mai pensato che un giorno, io e Nicola ci saremmo separati. Stavamo sempre insieme sullo stesso banco a scuola e lungo “lu fusse” a caccia di lucertole e dei “mosconi d’oro” (j rrj). I nostri padri andavano a pesca e le nostre madri a dar di straccio,a fare il bucato (a culà)o a far lievitare le modeste provviste per il desinare. La nostra età,pur facendoci avvertire il disagio di una situazione anomala a causa della guerra, frantumava le difficoltà e volgeva a divertimento anche il lugubre suono della sirena che metteva in visibile ansia i nostri genitori.

Un terribile giorno,Nicola mi venne incontro con gli occhi gonfi di pianto per dirmi che suo padre non sarebbe tornato più, per una disgrazia in mare : non seppi mai se fu per un naufragio o per lo scoppio di una mina. L’incertezza economica,aggrappata al solo lavoro del padre,era una costante nella maggior parte delle famiglie sambenedettesi e da una vita di accettabile sopravvivenza, era facile sprofondare nella miseria più tetra. Il posto del banco vicino al mio rimase per un certo tempo vuoto e quando giunse il nuovo inquilino, non lo accettai come se mi avesse fatto un torto. Ritrovai Nicola a girare la ruota, per pochi spiccioli, per tirare a campare lui, la madre e il fratellino appena nato. Mia madre sapeva dove trovarmi di pomeriggio e spesso mi chiamava per consegnarmi una “cazzarelètte” di minestra calda: “Portala a Nicola, così gli si riscalda un po’ lo stomaco”. Non era elemosina; si era,allora, nelle strade strette del vecchio rione, un po’ figli di tutti.

Il fronte di guerra avanzava inesorabilmente ed era giunta notizia che nell’autunno di quel terribile 1943, sarebbe passato per la nostra città così esposta a causa delle tre vie di comunicazione: ferrovia,mare e strada nazionale. Non si poteva più attendere, bisognava fuggire verso i paesi dell’interno. Ci prelevarono al mattino che era ancora buio,mezzo assonnati; non mi resi conto che da quel giorno non avrei visto più Nicola. Le lacrime sono il linguaggio dei ragazzi ed io piangevo senza dare una spiegazione, tanto i grandi non mi avrebbero compreso. Sembrarono interminabili quei mesi trascorsi tra gente sconosciuta, con ragazzi che ci trattavano da intrusi e in un freddo stagionale che sembrò divertirsi,quell’anno, ad aggravare la nostra situazione, con il nevone del primo giorno dell’Anno Nuovo. Finalmente in Primavera avanzata, su un traballante camion degli Alleati, tornammo a togliere le macerie e ricostruire un nido da sopravvivenza. Ritrovai Nicola incollato alla solita ruota. Ci guardammo all’inizio vergognosi come due forestieri e fu una lucertola, sbucata dall’erba, a farci scoppiare in una sonora risata, ristabilendo l’antica amicizia.

Mi raccontò delle tante paure, per loro che erano rimasti lì, non sapendo dove andare e delle notti passate in una grotta che sembrava franare agli scossoni dei grappoli di bombe che sbriciolavano le nostre povere case. Ma fu la notte di Natale, che,come lui raccontava, ci fu il miracolo. Quella sera la madre non era riuscita a racimolare nulla per la cena e con la stanchezza del digiuno si era addormentata sulla sedia, stringendo a sé il figlio più piccolo. Ad un tratto era stata svegliata dai singhiozzi di Nicola che, stringendo un Gesù Bambino di terracotta, ritrovato dalla madre al mattino in un angolo della scansia a muro, sentiva freddo e i morsi della fame. Le tenebre aumentavano l’angoscia e fu così che la madre accese un mozzicone di candela per rasserenare il figlio. Purtroppo era rimasto aperto uno sportello della finestra e a quel chiarore si sentirono un tramestio fuori e un bussare nervoso alla porta.

La madre spaventata aprì e si trovò di fronte un soldato tedesco che a gesti fece capire di chiudere l’imposta. Nicola era rimasto impietrito a guardare con la candela in mano e il Bambinello. Il militare si impietosì di fronte a tanta miseria. Se ne andò facendo capire che sarebbe tornato. Poco dopo si presentò con una scatola in mano contenente del cibo ed una pagnotta di pane nero. Depose,quasi vergognoso, il tutto sul tavolo della cucina, invitando Nicola e la madre a mangiare. E mentre accarezzava i capelli del mio amico che lo guardava impaurito, si vide chiaramente che due lacrime gli rigavano il volto. Parlò di un bimbo, lasciato in Germania e che forse, in quel momento, stringeva pure lui nelle mani un Bambinello, e pregava per suo padre partito per la guerra.

24/12/2005





        
  



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