Sulla libertà di stampa
Ascoli Piceno | In riferimento all'articolo di Giuseppe Orsini gocce di verità il consigliere comunale Carlo Cannella ritiene opportune alcune riflessioni
di Carlo Cannella
L'indagine di Freedom House sulla libertà di stampa non tende a misurare il grado in cui gli organi di informazione di un paese fanno bene o male il loro mestiere, nè tanto meno se essi riflettano standard etici elevati, bensì a valutare le influenze del sistema politico su quello mass-mediologico, il grado di concentrazione delle testate, e quindi la libertà e il pluralismo dell'informazione nel loro complesso.
Evidentemente, il fatto che il Presidente del Consiglio sia proprietario di tre reti televisive, controlli indirettamente la RAI (tradizionalmente soggetta all'influenza e alle pressioni politiche del governo), emetta insindacabilmente liste di proscrizione, e dall'alto del suo potere economico intimorisca con richieste di risarcimento miliardarie qualsiasi voce contraria, è più che sufficiente per equiparare il nostro livello di libertà a quello della Mongolia.
Non è vero che la ricerca di Freedom House si basi solo su articoli della stampa internazionale, e che mai alcun ricercatore della società sia venuto in Italia per verificare lo stato dell'informazione nel nostro paese. I viaggi dello staff di Freedom House, unitamente ai rapporti dell'INTERNATIONAL FREEDOM OF EXPRESSION EXCHANGE (un network internazionale che riunisce 64 associazioni giornalistiche ed istituti di ricerca specializzati nel campo delle libertà di stampa), sono uno dei criteri qualificanti dell'intero rapporto.
Nel campo delle organizzazioni italiane che hanno contribuito alla ricerca di Freedom House è sufficiente citare l'OSSERVATORIO DI PAVIA, un istituto indipendente di grande autorevolezza, i cui dati vengono perfino utilizzati dalla Commissione di Vigilanza sulla Rai. Quanto possano essere costati questi dati nel giudizio fortemente negativo riguardante la qualità della nostra informazione, è facilmente deducibile dalla lettura del rapporto, secondo il quale il 42% del tempo dedicato dalle trasmissioni televisive ai leader politici è mediamente occupato da Berlusconi.
E' allora un caso se fra tutti i paesi dell'Europa occidentale solo l'Italia e la Turchia figurano fra quelli in cui l'informazione è "parzialmente libera"? Si badi bene: dal 1988, anno in cui Freedom House ha cominciato a fare le sue rilevazioni, non era mai accaduto che un paese europeo scivolasse così in basso.
Sulle Primarie dell’Unione
Che razza di discorso è stare a sindacare sull'entità della partecipazione? A mio modo di vedere 4.300.000 persone sono tantissime, soprattutto tenendo conto della novità rappresentata dal meccanismo delle primarie, che si affacciava per la prima volta nel paese e a cui la gente non era assolutamente abituata. Ma ripeto, che importa? Il punto non è questo, è che finalmente la politica parte dal basso, investe direttamente i cittadini, li fa partecipi dei diversi orientamenti all'interno di una coalizione e delle persone chiamate a rappresentarli.
Il problema non è quantitativo, investe semmai la qualità e il livello della nostra democrazia. Certo, sarebbe stato interessante che nell'ambito della coalizione ognuno dei candidati presentasse un programma alternativo, in modo da dare un senso più compiuto alla consultazione, ma in futuro non mancherà modo di riflettere anche su questo aspetto.
Sulla guerra in Iraq
Ma davvero c'è ancora qualcuno disposto a spendere una parola sulle ragioni della guerra e dell'intervento italiano in Iraq? Il quadro non è già abbastanza chiaro?
Un piccolo gruppo di miliardari che controlla la più grande potenza militare della storia ha cercato di convincerci che l'Iraq possedesse armi di distruzione di massa, e che il crudele dittatore Saddam Hussein fosse implicato nell'attentato alle torri.
Il dossier costruito dai pataccari italiani sull'acquisto di uranio nigerino da parte di Saddam, che sta facendo il giro del mondo e scompisciando dalle risate quelli che hanno la fortuna di sapersi gustare l'aspetto assurdo e grottesco delle tragedie umane, ha dimostrato su quali basi si reggeva l'accusa.
L'intervento preventivo non è riconosciuto dall'ordinamento internazionale.
La storia di Malcolm Kendall Smith, ufficiale medico della RAF, veterano pluridecorato, è la riprova di tutto il marcio che gravita intorno alla vicenda. Proprio in questi giorni la corte marziale di sua maestà lo sta giudicando per insubordinazione. Malcolm si rifiutò infatti di obbedire agli ordini e di partecipare all'occupazione dell'Iraq, perchè l'operazione era a suo giudizio "manifestamente illeggittima".
Agli atti del processo è finita una valutazione tecnica-giuridica che il ministro della giustizia inglese, Lord Goldsmith, fece allora privatamente al primo ministro Tony Blair. Il documento afferma senza tanti giri di parole "che la sostituzione forzata del regime di Saddam Hussein non era uno scopo da potersi considerare legale secondo la legislazione internazionale".
Dunque anche la presenza italiana in Iraq non è legittima ai sensi del diritto, e tirar fuori articoli sulla democrazia riconquistata suona fin troppo offensivo per chi ha una pur vaga idea del disastro che stiamo combinando.
Nello stesso tempo chi cerca di far trapelare qualcosa sui bombardamenti e i massacri indiscriminati di civili viene tacciato di filoterrorismo. Un mese fa, ad esempio, fu vietata in una conferenza a Chianciano la presenza di esponenti iracheni che si opponevano all'occupazione della loro terra.
Quarantaquattro congressisti americani avevavo infatti scritto una lettera all'ambasciatore italiano negli Stati Uniti intimando la non concessione dei visti per l'ingresso dei rappresentanti iracheni nel nostro paese. Siamo insomma riusciti nella non facile impresa di rinunciare alla nostra sovranità nazionale, a farci compartecipi dei delitti compiuti verso il popolo iracheno e a censurare l'informazione.
E' deprimente sentir cianciare di democrazia esportata sulla punta delle baionette, possono farlo i giornalisti prezzolati, ma non ad esempio Sabah Alì, che sulle pagine di quel giornalaccio di regime che è Il Manifesto, ci dà un'idea abbastanza precisa di cosa ha significato per gli iracheni andare al voto per la ratifica della neonata costituzione.
La maggior parte di essi non sapeva, e non sa neppure adesso, quale bozza di costituzione era stata chiamata ad approvare. Inoltre le operazioni di voto erano prive di qualsiasi trasparenza, dal momento che l'intero processo era sotto il controllo di uno dei partiti attualmente al governo.
E che altro? Ah, sì, anche Berlusconi era contrario alla guerra. Lui glielo diceva al suo amico George che...
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02/11/2005
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