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La psicologia delle trasgressioni

Ascoli Piceno | Le motivazioni che spingono alcuni uomini a schiavizzare e sfruttare altri uomini.

di Fabrizio Marini


Il 7 ottobre scorso si è tenuto, nella sala del Consiglio Provinciale di Ascoli Piceno, un incontro pubblico sul grave tema dello sfruttamento, nel nostro occidente civilizzato, di donne e bambini provenienti da diversi paesi: est-europeo e Africa prevalentemente.

Il fenomeno è stato analizzato sotto due punti di vista: quello giuridico e penale svolto dal giudice Ferdinando Imposimato e quello dell’impegno civile e dei riflessi sociali, con le relazioni del Rev. Don Franco Monterubbianesi e del Dott. Marco Bufo, responsabile e coordinatore rispettivamente dell’Associazione Noi Ragazzi del Mondo e On The Road.

In questo articolo vorrei puntare l’attenzione su un tema non approfondito dal dibattito, ossia sulle persone che cercano di appagare il loro naturale desiderio sessuale sfruttando la prostituzione.

Non si può parlare semplicemente di un fenomeno naturale che è sempre esistito, soprattutto oggi che assume caratteristiche estreme, coinvolgendo ragazze minorenni o addirittura sfociando nella pedofilia. Se non risolviamo questo nodo alla fonte non potremmo mai sconfiggere la tratta soltanto combattendo coloro che trafficano gli esseri umani.

D’altra parte le soluzioni giudiziarie, ossia il carcere per i clienti, non ci permettono di studiare e comprendere i fatti. Anzi quanto più si chiede di ricorrere a misure drastiche tanto più inconsciamente si vuole nascondere i meccanismi mentali che portano allo sfruttamento. In modo nascosto operano le prostitute e in luoghi nascosti vogliamo relegare chi le frequenta: ma il buio dell’analisi e della comprensione alimentano la violenza.

Le persone che accedono a questo mercato hanno vissuto in famiglie come le nostre, hanno avuto educatori, sono andati a scuola: qualcosa non funziona allora a questo livello.

Per tentare un approccio psicologico alla questione dobbiamo ricordare alcuni concetti che la psicoanalisi ha focalizzato per prima, tra lo stupore e la condanna del mondo accademico e sociale del tempo (parliamo ormai di un secolo fa).

Il problema è sicuramente legato al modo con cui l’educazione tratta la sfera emotiva e sessuale dei giovani. Ma in generale è coinvolto il modo in cui viene percepito il fenomeno del piacere. La distorsione di tale percezione conduce a comportamenti che causano sofferenza: si va dalla dipendenza dalle droghe e a un certo tipo di esercizio della sessualità.

Richiedere conforto e piacere è il primo movente del bambino. Tale richiesta è legata alle manifestazioni corporee primarie che vengono svolte spontaneamente. Il bambino è un intero, è totale: quando ha fame piange, quando è arrabbiato strilla, quando deve evacuare non chiede il permesso e cosi via. La sua mente è il suo corpo. Sono le esigenze sociali che richiedono che questa interezza venga spezzata. La mente deve separarsi dal corpo, nel senso che se il corpo sente in un certo modo, la mente deve ignorarlo e manifestare il contrario. (Quanti di noi percepiscono rabbia magari per un comportamento scorretto dovendo invece manifestare accondiscendenza). Le percezioni inaccettabili vengono così sepolte nel corpo: nasce l’inconscio, ossia quel serbatoio di ideazioni e azioni interrotte sacrificate sull’altare del vivere civile.

Tuttavia tali impulsi sepolti non hanno perduto la loro forza: esigono costantemente di essere soddisfatti e si fanno strada nella mente attraverso forme mascherate, nevrosi, ossessioni e comportamenti volti alla soddisfazione compulsiva, ripetitiva, del piacere. Il problema è che in queste forme conflittuali il piacere non può essere sperimentato, rimane per così dire a mezz’aria, cosicché il soggetto è costretto sia a ripetere infinitamente l’atto, sia ad alzare la posta, a ricercare forme sempre più estreme per distillare un’oncia di appagamento entro le strettoie del divieto morale iscritto nella sua mente nell’infanzia.

Dunque il dilemma è che il piacere è legato a doppia mandata al senso di colpa. Tale legame trasforma il comportamento sessuale o volto alla soddisfazione in genere, in un circolo vizioso. Il piacere provato non è sufficiente perché disturbato dal senso di colpa, d’altra parte il senso di colpa non è sufficiente a bloccare il comportamento perché è strettamente connesso al piacere. La perversione di tale processo conduce addirittura all’impossibilità di sentirsi appagati senza violare norme etiche. Si comprende come in tal caso si generi un florilegio di comportamenti che portano allo sfruttamento sessuale di ogni tipo. 

Dovremmo seriamente ripensare i nostri metodi educativi. Gli insegnamenti morali non possono pretendere che gli impulsi sessuali vengano superati in favore di una relazione volta alla compassione e all’amore disinteressato se quegli stessi impulsi non possono essere sperimentati quando si manifestano. Ciò vuol dire semplicemente inchiodare l’individuo per tutta la vita al tentativo di dare soddisfazione a un passato di delusione, e in questo modo il trascendimento dell’istinto è molto difficile.

Il primo passo è sicuramente quello di accrescere e confermare il potenziale emozionale dei bambini. L’espressione delle emozioni di base è fondamentale, affinché vecchi impulsi inespressi non covino in una terra di nessuno, l’inconscio, ove nel buio si trasformino in azioni ossessive e frustrate.

Il secondo passo strettamente legato al primo è disgiungere il giudizio morale dal desiderio, per trasferirlo sui comportamenti, educando a scegliere le azioni più sane e corrispondenti al suo appagamento. Un appagamento completo senza l’ingombro del senso di colpa assicurerebbe un vero trascendimento dell’istinto primario, non costretto a ripetersi, e a fissarsi sui soggetti più deboli.

Naturalmente ho voluto suggerire solo degli spunti, tuttavia vista la serietà del tema umilmente mi stupisco dell’assenza del contributo della psicologia e della pedagogia ai dibattiti pubblici sulla tratta e lo sfruttamento di esseri umani.

12/10/2005





        
  



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