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Jeans, l’ultimo immortale

Ascoli Piceno | I Jeans a maggio hanno compiuto 132 anni. Anche se, decisamente, non li dimostrano.

di Stefania Mistichelli

 

Il pantalone Jeans è l’unico capo d’abbigliamento presente davvero in tutti gli armadi, di più ricchi o meno ricchi, di meno poveri o più poveri.

Io i miei jeans li ho comprati al mercato, non perché non mi potessi permettere quelli di marca, ma perché mi sono piaciuti subito: leggermente elasticizzati, con farfalline e roselline ricamate e, soprattutto, con la vita che arrivi veramente al giro vita, e non sotto le anche.

Che volete, non sono più una teenager, e sono abituata ad un taglio di jeans più tradizionale, al 501, naturalmente.

L’ho indossato anch’io il celebre Levi’s 501, reso popolare dagli ancheggiamenti di un certo Elwis nei primi anni ’60, e leggermente più tardi anche da James Dean.

E posso affermare senza timore che il tessuto sia veramente resistente come sosteneva il bavarese Strauss alla metà dell’ottocento; li mettevo quando avevo quindici anni e sono ancora là, nel mio armadio, intatti.

Peccato solo per l’orlo: quando ero alle medie, pieni anni ’80, era in voga lo stile paninaro, dunque i pantaloni dovevano rigorosamente lasciare intravedere un buona parte di calzino sopra le scarpe, mentre adesso, se non coprono persino il tacco, sono demodé.

Ma al di là delle mode, della vita alta e della vita bassa, con risvolto o senza risvolto, con le diverse lunghezze attraverso cui è passato, il Jeans resiste al tempo, e può entrare a pieno titolo tra i capi di abbigliamento classici, anzi è il capo più classico tra i classici.

Elegante se indossato con la giacca, sexy se elasticizzato, sportivo, casual… una bella carriera se si pensa che il tessuto jeans veniva utilizzato per confezionare i pantaloni per gli scaricatori di porto che da Genova si imbarcavano per l’America.

Non a caso la parola Jeans deriva dal francese Gênes, Genova.

Da lì Levi Strauss, andato in America a soli sedici anni e povero in canna, tentò di vendere questo tessuto così resistente per realizzare delle tende, ma, arrivato in un piccolo villaggio della California, ebbe la brillante idea di confezionarci pantaloni.

Tornato a San Francisco mise in pratica questa intuizione, con il risultato che tutti i pionieri acquistarono i “Levi’s Pants”, rendendo ricco l’emigrante bavarese.

Ma fu soprattutto quando Levi cominciò ad utilizzare un tessuto più pregiato, blu, chiamato denim, che arrivò il vero successo: non solo i cercatori d’oro, ma anche i meccanici, i cowboys, gli operai, cominciarono ad indossare quelli che oramai vengono chiamati semplicemente Jeans.

Ma Levi Strass, pur all’apice del fama, non avrebbe mai immaginato che i suoi “Pants” sarebbero diventati quello che attualmente sono: il capo che non manca mai sulle passerelle, indossato dai giovani e dagli adulti, dai bambini e dai nonni, un capo che si può acquistare sulle bancarelle di un mercato a quindici euro e che se si può pagare svariate centinaia di euro se firmato da qualche famoso stilista.

E soprattutto non avrebbe mai sognato, anche avesse previsto l’esistenza di internet, che digitando la parola Jeans su Google, il primo link fornito dal motore di ricerca sarebbe stato proprio www.levi.com.

Certo è che il Jeans, come è sopravvissuto al suo creatore, morto nel 1902, e come è scampato alle polemiche sulla vita bassa delle teenager a scuola, o alle mode che lo hanno voluto di volta in volta sformato o a sigaretta, oversize o attilatissimo, sopravvivrà alla sottoscritta che ne sta narrando, in occasione del suo centotrentaduesimo compleanno, la storia.

01/06/2005





        
  



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