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Vale la pena di ricordare che….

| L’Associazione Emily inItalia intende dedicare questo 8 Marzo a tutti 5.500 lavoratori del Piceno in mobilità, cassintegrati o licenziati, che vivono sulla propria pelle le gravi contraddizioni in cui si dibatte la politica italiana.

Nel lontano 1908, a New York, pochi giorni prima dell'otto marzo le operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le malsane e pericolose condizioni in cui erano costrette a lavorare.

Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme.

Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia. Con il diffondersi e il moltiplicarsi delle iniziative che vedevano come protagoniste le rivendicazioni femminili in merito al lavoro e alla condizione sociale, la data dell'8 marzo si diffuse a livello mondiale, diventando, grazie alle associazioni femministe, non solo il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche motivo di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sui problemi che pesano ancora oggi sulla condizione femminile.

Ma non solo.
Oggi come ieri, si continua a lottare per il giusto riconoscimento del diritto al lavoro, nel rispetto della propria dignità di lavoratore.

Per questo l’Associazione Emily inItalia – provincia di Ascoli Piceno – intende dedicare questo 8 Marzo 2005 a tutti  5.500 lavoratori del Piceno in mobilità, cassintegrati o licenziati, che vivono sulla propria pelle le  gravi contraddizioni  in cui si dibatte la politica italiana. Contraddizioni che riguardano in particolare l'occupazione. Precarietà e insicurezza del lavoro sono di fatto cresciuti vertiginosamente,  rendendo impossibile per i giovani  progettare il proprio futuro e  gli adulti hanno ora evidente l’incapacità di rientro nel mercato produttivo , una volta messo in discussione il posto di lavoro. 

Al conseguimento di capacità professionali,  non corrisponde per le donne un adeguato inserimento nel lavoro, permangono squilibri nelle carriere e nelle retribuzioni, non vi sono reali politiche di sostegno, né un adeguato intervento del governo. Anzi, l’allarme  sulla denatalità (con la ridicola politica di un “bonus” per il secondo figlio), se da una parte si scontra con la nuova libertà e soggettività  femminile, dall’altra tende respingere indietro la donna, sovraccaricandola di tutte le responsabilità di cura nella famiglia. Alle donne si offrono forme di lavoro sempre più atipiche, da sconfinare nella precarietà, e la conciliazione fra i tempi di vita e tempi di lavoro, diventa sempre più difficile.

In questo contesto – ribadisce la presidente di Emily, Maria Pia Silla -  occorre far sentire la voce autonoma delle donne nei vari livelli in cui si determinano le regole di convivenza e di democrazia, a partire dai negoziati per il governo dei territori fino alla discussione sui modelli sociali necessari alla nostra contemporaneità, che sappiano affrontare temi  quali lo sviluppo sociale, le migrazioni, le nuove reti di solidarietà globale e le nuove forme di cooperazione.


 

07/03/2005





        
  



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