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I Briganti nelle Marche e nella Provincia di Ascoli Piceno

| Alfonso Piccolomini, duca di Montemariano, e Marco Sciarra guidarono con successo l'azione di bande contro gli eserciti del papa.

di Tonino Armata

STENDHAL, in queste pagine inedite, racconta la lunga storia dei fuorilegge nel nostro Paese.
I BRIGANTI IN ITALIA, edito dal Melangolo che in parte qui anticipo, doveva essere inserito nella seconda edizione di Rome, Naples et Florence, pubblicato nel 1827. Il testo fu espunto per gli ampi tagli che l'editore chiese a
STENDHAL.

Lo scrittore decise in seguito di donare il racconto al cugino Romain Colomb che lo inserì nelle sue Promenades dans Rome. Il testo inedito per l'Italia mostra il particolare rapporto di STENDHAL con il nostro paese. Lo scrittore amava molto l'Italia.

Amava soprattutto il nostro Rinascimento e in particolare quei protagonisti della nostra storia che non disdegnavano il ricorso a ogni forma di trasgressione, compreso il delitto, pur di raggiungere i propri scopi. In questa cornice i briganti che cominciarono a infestare lo Stato Pontificio e il Regno di Napoli, a partire dal  secondo Cinquecento, hanno sempre destato una sorta di attrazione irresistibile per la loro proclamata indipendenza, per la loro volontà di intimorire i governi e al limite di dar vita a vere repubbliche indipendenti.

Questa professione fu inizialmente esercitata da uomini che trovavano più onorevole conservare in tal modo la propria indipendenza che non piegare le ginocchia davanti all'autorità pontificia. Il ricordo delle repubbliche medioevali agiva ancora potentemente sugli animi, turbava ogni mente: in poche parole, il fine sembrava giustificare i mezzi.

Uomini dotati di una così selvaggia energia erano animati più da un sentimento di opposizione al governo che non da una premeditata intenzione di attentare la vita o alle sostanze di privati cittadini.

Alfonso Piccolomini, duca di Montemariano, e Marco Sciarra guidarono con successo l'azione di bande contro gli eserciti del papa.

Nel 1582 Piccolomini si trasferì in Francia, dove trovò da prestarvi servizio militare e vi rimase otto anni. Il 16 marzo del 1591 Ferdinanndo, granduca di Toscana, lo fece impiccare, nonostante le proteste di Filippo II e di Gregorio XIV, nei cui Stati egli aveva sparso la desolazione.

Il piccolo esercito del Piccolomini era composto da tutti i malfattori di Toscana, di Romagna, delle Marche e del Patrimonio di San Pietro.

Sciarra fu a capo di una banda numerosa e temibile che, sotto Gregorio XIII e verso la fine del Cinquecento devastò gli Stati romani e le zone di frontiera del regno di Napoli e della Toscana. La sua armata giunse talvolta a contare qualche migliaio di uomini.

Sisto Quinto riuscì ad allontanarla da Roma, ma non a domarla. Clemente VIII nel 1592 attaccò Sciarra con tanta energia che quell'illustre brigante si vide costretto a rinunciare al suo pericoloso mestiere e passò al servizio della repubblica di Venezia con cinquecento dei suoi uomini migliori.

Lo mandarono in Dalmazia a fare la guerra agli Uscocchi; ma papa Clemente si lamentò vivamente del fatto che banditi da lui ricercati si fossero in tal modo sottratti alla sua giustizia; il senato di Venezia si spaventò, fece assassinare Sciarra e mandò i suoi compagni a morire di peste nell'isola di Candia.

Costretti a guerreggiare incessantemente con le truppe pontificie, i briganti si rifugiarono nei boschi: privi di ogni risorsa, rubarono ed uccisero per vivere. Il teatro delle loro operazioni si estendeva da Ancona a Terracina, da Ravenna a Napoli. Ma allorché l'impunità, per la mancanza di strumenti di repressione o per un difetto di buona volontà da parte dei governi, fu diventata una sorta di tacita promessa, il brigantaggio si diffuse in tutta Italia.

Quella vita libera e avventurosa sedusse spiriti che, se ben guidati, sarebbero stati capaci di grande cose. Darsi alla macchia era sovente per uno oppresso il solo modo per vendicarsi della tirannia di un gran signore o di un abate importante.

07/04/2004





        
  



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