Cos'è la "Giustizia"?
| Sulla grazia a Sofri il parere di Clemente Ciampolillo
di Clemente Ciampolillo
Cos'è la "Giustizia"?
Si può leggere in un qualsiasi dizionario di italiano che "Giustizia" è il "retto funzionamento dei rapporti sociali, nel quale le leggi, puntualmente osservate, regolano ogni aspetto della vita collettiva".
Se tutti rispettassero le leggi della pacifica convivenza, non si avrebbe bisogno di alcun "intervento correttivo" da parte degli organi preposti alla Sua tutela e si vivrebbe in una sorta di Eden, dove ognuno avrebbe rispetto degli altri in cristiana armonia.
Purtroppo, l'uomo non è perfetto e l'Eden esiste, ma non in questo mondo.
Affinché possa essere validamente applicata e costituire deterrente a comportamenti ad essa contraria, la "Giustizia" deve quindi poggiare su due pilastri, tra loro interdipendenti:
1. il comportamento delittuoso dev'essere previsto nella Norma giuridica; in altri termini, il reato deve essere sempre specificato ed individuato;
2. la pena deve essere chiara e certa: chi sbaglia deve essere consapevole che la sua azione antigiuridica sarà accompagnata da una specificata sanzione.
Su questi semplici concetti si fondano le regole delle civiltà moderna e proprio tali assiomi sono stati riprodotti nel nostro diritto; un diritto maturato in millenni di storia.
Senza di essi c'è solo anarchia e sopruso e l'uomo, da essere imperfetto, rischia purtroppo di diventare un mostro, un animale disposto a sopravvaricare i suoi simili con ogni mezzo.
In tale contesto, la "Grazia" si presenta come un atto di spettanza del Presidente della Repubblica, il quale può applicarla non a proprio arbitrio, ma nei soli casi previsti dalla Norma e fuori dai quali anche quest'atto di "clemenza" diventa illegittimo. Prima della nostra Repubblica, si ricorda, la "Grazia" era di esclusiva competenza del Re e l'Italia era l'unico Paese occidentale ad avere un "Ministero di Grazia e Giustizia", proprio a significare la sudditanza delle leggi alla volontà reale.
D'altronde, il "Perdono", concetto Cristiano, non ha nulla a che spartire con l'espiazione obbligata della "Pena". Questa, per avere i suoi effetti deterrenti, deve essere certa ed assoluta, anche se - per principio costituzionale - deve tendere al recupero del reo.
Alla luce di queste povere argomentazioni, si valuti il c.d. "caso Sofri" o quant'altri.
Codesto illustre personaggio è stato riconosciuto "colpevole", con sentenza passata in giudicato, per un delitto gravissimo: l'assassinio di un paladino dello Stato, il commissario Calabresi.
A stabilire quell'ignobile uccisione non fu un tribunale togato, costituito da magistrati del popolo, ma una giuria composta da una stretta cerchia di persone che, dall'alto della loro onniscienza, lo ritenne colpevole del "suicidio" di un loro compagno e, quindi, meritevole di morte (non di ergastolo, si badi bene).
La storia ci ricorda altrettanti assassini deliberati da "giurie" di siffatto genere: Moro, Bachelet, etc.
Quasi tutti coloro che hanno commesso quegli omicidi sono felicemente vivi, qualcuno è anche LIBERO e concede "interviste" e insegnamenti ai comuni mortali, ergendosi a maestro di vita nei confronti della massa ignorante e succube del potere.
E qui mi chiedo: è questa la "Giustizia", oppure è una "Certa Giustizia"?
Quindi, si lasci stare la demagogia falsa e strumentale: la c.d. "Destra" non ha fatto nessun "voltafaccia" al sig. Sofri. Al contrario, la sua campagna elettorale è stata interamente fondata sulla tutela delle libertà dei cittadini, sulla lotta alla delinquenza, nonché sulla certezza della pena.
Non c'è altra strada: se la pena non è certa, il reato è caduco.
Per il caso specifico (e per tutti quelli analoghi), ben siano modificati i "poteri" del Presidente della Repubblica, svincolandolo da quei lacci che oggi richiedono un'esplicita richiesta di grazia, il pentimento del reo, il parere vincolante del Ministro Guardasigilli.
Però, per "Giustizia", lo si investa anche del potere di resuscitare i morti che di quell'atto vigliacco e antigiuridico sono le uniche vittime: private della loro vita; strappati all'affetto dei loro cari; caduti nell'assolvimento del loro dovere verso quella società cui apparteniamo e la cui memoria storica - purtroppo - ondivaga.
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15/04/2004
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