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Sacerdoti e suore in un congresso sulla "nuova cultura" della comunicazione

| ROMA - I religiosi si sono interrogati sull'uso di Internet, giornali, radio, televisioni, agenzie stampa.

Si è tenuto a Roma, il 26 e 27 marzo 2004, presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, il congresso "Vita consacrata e cultura della comunicazione", organizzato dall'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dalle Edizioni San Paolo. Oggi, grazie alle nuove tecnologie, il modo di pensare, trasmettere e ricevere informazioni è completamente cambiato. Nell'era di Internet, è sufficiente il tasto di un computer per entrare in contatto, in pochi secondi, con persone che si trovano dall'altra parte del mondo.

Questo nuovo modo di comunicare ha una grande influenza nella società e nei rapporti umani. Può rappresentare dei rischi, ma anche offrire grandi opportunità per creare occasioni di incontro e di arricchimento culturale. Per questa ragione, i religiosi si sono interrogati sul rapporto tra la vita consacrata e i mezzi di comunicazione, per rispondere all'invito di Giovanni Paolo II, secondo il quale: "Possiamo parlare davvero di una 'nuova cultura' creata dalle moderne comunicazioni, che coinvolge tutti, in particolare le generazioni più giovani. (.)

Poiché tutti i credenti sono coinvolti in questi cambiamenti, ciascuno di noi è chiamato ad adattarsi alle situazioni che mutano e a scoprire modi efficaci e responsabili per usare i mezzi di comunicazione sociale a gloria di Dio e al servizio della Sua creazione". Padre Paolo Scarafoni, Rettore dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, ha aperto il congresso con queste parole: "Il mondo della comunicazione penetra fortemente nella vita sociale. Non soltanto crea cultura, ma possiamo dire che definisce la cultura nel suo modo di essere, perché siamo di fronte a un nuovo modo di vivere dell'uomo, con importantissime conseguenze personali e comunitarie.

Un simile fenomeno ci coinvolge profondamente in due sensi: la necessità di integrare alle esigenze proprie della vita consacrata questo nuovo ambito della vita umana, nel quale bisogna imparare a vivere come consacrati; e l'integrazione del mondo della comunicazione alla missione, nel senso che esso può diventare un importantissimo strumento per l'evangelizzazione". Al congresso hanno preso parte autorevoli esponenti del mondo giornalistico, culturale ed ecclesiastico. Fra questi, Mons. John P. Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, ha voluto ricordare i tre principi-base del lavoro nei Mass Media: la verità, la dignità dell'individuo e il bene comune.

"Non siamo mai giustificati nel raccontare menzogne - ha ricordato Mons. Foley - La comunicazione dovrebbe sempre accrescere e non sminuire la nostra innata dignità umana. Dovrebbe contribuire al bene della comunità e non danneggiarlo moralmente o in altro modo". Mons. Claudio Giuliodori, Direttore dell'Ufficio Nazionale per le Comunicazioni Sociali della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) ha parlato dei rapporti tra la Chiesa e i Media, evidenziando i numerosi aspetti positivi di questo dialogo, pur non mancando "elementi critici legati ai mali congeniti della comunicazione moderna, come la ricerca dello scandalo e del sensazionale, l'assoggettamento ai dettami della pubblicità e della ricerca dell'audience a tutti i costi". Don Antonio Sciortino, Direttore di "Famiglia Cristiana", ha invitato i giornalisti ad usare la comunicazione "con responsabilità e nel rispetto della deontologia professionale".

"Per noi religiosi, e nello stesso tempo, giornalisti, o per quelli che operano nei giornali di ispirazione cristiana, la responsabilità è ancora maggiore - ha detto Don Sciortino - E' per questo che nelle nostre inchieste, anche quando facciamo delle forti denunce, non dimentichiamo mai di usare il linguaggio della carità. Se mettiamo a nudo il male, non vogliamo dare l'impressione che sia tutto marcio. Cerchiamo sempre d'essere ottimisti e non catastrofici. Abbiamo una visione positiva della vita e andiamo alla ricerca di uno spiraglio di luce, di un briciolo di speranza anche nelle situazioni disperate della cronaca quotidiana". Padre Giulio Albanese, Direttore dell'agenzia stampa "Misna", ha evidenziato il ruolo prezioso dell'editoria missionaria, che "avvalendosi delle missionarie e dei missionari sparsi per il mondo e della società civile come sue fonti principali, e non dovendo rispondere né alla pubblicità né ai poteri politici di sorta, può permettersi almeno un ragionevole avvicinamento alla verità".

Il tutto "nella consapevolezza che occorre veicolare, nonostante le contraddizioni del tempo presente, il messaggio di speranza che scaturisce dall'ascolto attento del Vangelo". Suor Graziella Curti, Responsabile della comunità internazionale di studenti del Corso di Spiritualità delle Figlie di Maria Ausiliatrice ha parlato dei mezzi di comunicazione come possibile strumento per "cercare i giovani là dove sono". 

"Questo - ha detto Suor Graziella Curti - vale anche per il discorso vocazionale, che è il cuore della missione educativa in quanto ricerca di un progetto personale di vita. Gesù stesso ci insegna che la proposta di seguirlo va fatta nella quotidianità. Lui ha chiamato Matteo che stava alla gabella delle imposte; ha invitato  gli apostoli mentre erano intenti alla pesca. Anche noi dobbiamo andare a cercare i giovani nei loro luoghi o 'non luoghi' vitali". Non mancano, in questo senso, esperienze positive di siti Internet che hanno messo a disposizione dei ragazzi canali di ascolto e di dialogo attraverso  la posta elettronica o il "telefono amico".

A proposito di "nuova cultura della comunicazione", Suor Emma Zordan, Segretaria USMI per la Diocesi di Palestrina,  ha voluto sottolineare il grande valore dei gesti del Papa. "C'è una lettera che Giovanni Paolo II non ha mai scritto eppure  ha fatto il giro del mondo - ha detto Suor Emma Zordan - E' 'l'enciclica dei gesti': un biglietto infilato nel Muro del pianto di Gerusalemme, la visita in carcere al suo attentatore, il 'mea culpa' durante il Giubileo per le colpe della Chiesa, il baciare la terra all'arrivo in ogni paese straniero, l'accarezzare i bambini, lo sciare in montagna, l'entrare in una sinagoga e in una moschea e mille altri gesti 'fuori cerimoniale', compiuti in venticinque anni di pontificato. Le immagini, i gesti comunicano più delle parole. Documentano meglio di qualsiasi saggio di sociologia della comunicazione".

27/03/2004





        
  



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