Occhi Aperti / Occhi chiusi
| Note su cinema e dintorni
di Dante Albanesi
Occhi Aperti
Dal Pakistan a Londra, tra finzione e realtà
Vi sono dei film "di confine" che mettono in discussione ogni divisione in generi, ogni steccato ideologico. È il caso di "Cose di questo mondo" di Michael Winterbottom, terzo appuntamento della rassegna "Immagini Inattese", organizzata da Fondazione Bizzarri e Cineforum Buster Keaton, giovedì 26 febbraio, ore 21.30, Multisala Calabresi di San Benedetto.
"Cose di questo mondo" è la cronaca di una fuga. Due cugini afgani abbandonano il campo profughi pakistano di Peshawar e nell'arco di sei mesi percorrono Iran, Turchia, Italia, Francia, fino a Londra. Nascosti in un Tir fra le capre. Braccati dalla polizia. Chiusi dentro un container con altri reietti (non tutti vivi). Mentre rari momenti di ilarità (sfide a palle di neve, barzellette) tentano di arginare l'onda della disperazione
La telecamera digitale di Winterbottom fonde improvvisazione e rigore, pedinando i suoi due antieroi attraverso un mondo di paura e fame, di ostilità e sogni da inseguire. Ed è bello incontrare un film che sa denunciare e infrangere così tante frontiere in un colpo solo: quelle geografiche dell'Asia e dell'Europa; quelle sociali, che fanno di un profugo un uomo a metà, geneticamente meritevole di disprezzo; quelle artistiche, che spesso impediscono al cinema tradizionale di calarsi concretamente nella vita reale e perdersi dentro i suoi più sconosciuti percorsi.
Occhi chiusi
Gibsonboys
Non siamo d'accordo con i papaboys su quanto affermano relativamente al film di Gibson. Antefatto: Gibson, in procinto di lanciare la pellicola in tutto il mondo, concede un'intervista dove confessa di aver sofferto di forti crisi religiose e di aver addirittura sfiorato il suicidio. Ora, chi ha un minimo di conoscenza delle campagne pubblicitarie di Hollywood e dintorni, sa che l'uscita di ogni kolossal viene sempre accompagnata da dichiarazioni altisonanti, ad effetto, accuratamente vagliate da astutissimi uffici stampa e consulenti d'immagine.
Sono tattiche consuete, alle quali si adeguano un po' tutti: nel loro piccolo, anche Michele Placido e Sergio Castellitto, all'uscita dei loro rispettivi "Padre Pio", hanno esternato su giornali e tv i propri "turbamenti di fede".
Ma ai nostri Ringoboys, evidentemente ignari di tali strategie, l'idea di un divo multimiliardario in crisi mistica ha causato un'eccitazione tale da esternarsi in un florilegio di citazioni da San Paolo al Vangelo di Luca. Com'è commovente il loro disinteressato panegirico, le loro fiere risposte a tutte le accuse che il film sta subendo
Purtroppo, chi non ha la memoria corta come loro, non può evitare certe riflessioni: sarebbe stato bello se l'ultimo grande film su Gesù, "L'ultima tentazione di Cristo" di Martin Scorsese, fosse stato difeso allo stesso modo; sarebbe stato bello se "Totò che visse due volte" di Ciprì e Maresco (stupenda parabola su un Messia alternativo e sottoproletario) non fosse stato accusato di vilipendio alla religione cattolica.
Comunque, ai cari Ragazzi del Papa vorremmo anche chiedere: non sarebbe cristianamente più giusto difendere quei film girati da autori misconosciuti, prodotti con quattro denari, e distribuiti tra immense difficoltà? Quei film che non trovano spazio nelle nostre sale, proprio perché schiacciati da superproduzioni come "The Passion"?
Ragazzi, perché non provate a dire una parola in aiuto di tante opere che nascono povere e muoiono dimenticate? Perché invece, com'è abitudine di tanti buoni cattolici, preferite correre in soccorso del più forte?
|
27/02/2004
Altri articoli di...
Le strade musicali dell'Ebraismo nel compendio cinematografico di David Krakauer

Una serata di emozioni e scoperte

Betto Liberati