La risiera della morte
| San Sabba rappresenta la prova inconfutabile che anche in Italia la «fabbrica della morte» nazista aveva svolto il suo orribile lavoro.
di Tonino Armata
Dopo puntigliose ricerche durate oltre tre anni, il sottoscritto e Ferruccio Fölkel (triestino) siamo riusciti a ricostruire in tutto il suo tragico orrore quanto avvenne a San Sabba, a Trieste e nel Litorale Adriatico (il territorio destinato a divenire a termine del conflitto, secondo i piani di Hitler, parte integrante del "Grande Reich") nei tragici anni dell'occupazione nazista. Quando il nome della risiera di San Sabba assurse molti anni orsono alla ribalta della cronaca provocò nel nostro paese un effetto traumatizzante: era, infatti, la prova inconfutabile che anche in Italia la «fabbrica della morte» nazista aveva svolto il suo orribile lavoro. Era una rivelazione che quell'orrore che credevamo relegato ai remoti campi di Auschwitz e Treblinka, Bergen Belsen aveva fatto la sua comparsa anche da noi, stroncando vite, massacrando chi non poteva difendersi, mostrando l'abisso dell'abiezione in cui può cadere l'uomo animato da un odio bestiale e ispirato da un'aberrante ideologia.
Grazie al Centro Documentazione Ebraico di Milano, alle testimonianze degli ex-prigionieri e alla scoperta di documenti mai pubblicati, abbiamo portato alla luce una verità (celata per tanti anni per strane rimozioni, imperdonabili amnesie e ambigue coperture) fatta di ruberie, soprusi, uccisioni in massa decise a volte per un semplice capriccio. Davanti ai nostri occhi sfilarono, da un lato, uno per uno, gli uomini dell'EINSATZKOMMANDIO RENNRD, il reparto speciale dell'S.S., incaricato di gestire con la consueta efficienza il "piccolo" campo di sterminio triestino: mentre, dall'altro, i superstiti ci raccontarono le vicissitudini che li portarono a San Sabba, le loro condizioni di vita all'interno del lager, il lucubre rituale delle torture e delle uccisioni, le indicibili sofferenze di chi nonostante tutto si sforza di continuare a vivere. Una storia angosciosa, inquietante, il cui epilogo non è stato ancora scritto.
Dove sono finiti, infatti, i beni di tutto rispetto e le somme di denaro che gli aguzzini anno sottratto alle loro vittime? Molto probabilmente, opportunamente riciclate, devono offrire ancora oggi una vita agiata ai "camerati" sopravvissuti o ai loro eredi, tutelati, naturalmente da una giustizia che non sa (o non vuole) raggiungerli. La poesia di Ketty Daneo, l'illustrazione di Renato Daneo e l'iconografia della Risiera di San Sabba, sono forse il miglior modo per ricordare con la passione e la tensione morale di chi "non può" non sentirsi coinvolto ne tantomeno dimenticare, senza mai correre il rischio di cadere in una facile retorica - quanti, nella squallida fabbrica di Trieste, "passarono per il camino".
RISIERA - A Trieste si usa il termine Risiera corrispondente all'italiano RISERÌA - per disegnare un vecchio edificio della zona industriale attrezzato, appunto per la pulitura del riso. Durante l'occupazione tedesca, iniziata nel 1943, i nazisti trasformarono la Risiera triestina, già fuori uso, in campo di concentramento per partigiani, ebrei, cospiratori politici, ostaggi e in genere per tutti presunti nemici. In un'ala del fabbricato i nazisti costruirono le celle di isolamento per gli inquisiti, anguste e assolutamente prive di finestre, e nel cortile, di fronte all'edificio delle prigioni, un FORNO CREMATORIO.
L a guarnigione comandata dalle S.S., era composta anche da alcuni sottufficiali, soldati ucraini, e italiani arruolati con la forza. Un tribunale segreto giudicava sommariamente i prigionieri, parte dei quali veniva smistata verso altri campi di concentramento e a parte veniva fucilata sul posto e quindi bruciata. Il forno,, tragicamente inadeguato, la notte del 21 Giugno 1944 con l'immolazione di una quarantina di partigiani sloveni, rimase in funzione fino al 28 Aprile 1945. Aveva una capacità distruttiva di 70 - 80 corpi per volta e si calcola che i sacrificati furono in tutto circa 2000. I miseri resti raccolti in sacchi di carta per il cemento, venivano giornalmente scaricati in mare. Tre di tali sacchi, gli ultimi colmi di ossa calcinate e di resti umani bruciacchiati, furono rinvenuti dopo la liberazione.
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27/01/2004
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