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Lettura di settembre

| Quando il Leggere vuole il maiuscolo.

di emme

Nel gennaio del 1511, si vide un Papa, a capo scoperto nella ghiaccia di una stagione non fatta per la guerra, farsi comandante sul campo, esautorare il suo generalissimo, l'inetto, o traditore, nipote Francesco Maria della Rovere e prendere in tre giorni la munita fortezza di Mirandola. Nella tenda papale, il "Bramante" (che doveva tale nomignolo alla notoria, insaziabile bramosia di onori e commissioni), disegnava macchine da guerra e, la sera, gli leggeva Dante al capezzale.

A Bologna aveva appena lasciato Michelangiolo, venuto a batter cassa presso quel Papa, gran committente quanto cattivo pagatore, il quale, più che parlar di scudi, voleva sentire avidamente le notizie sulla volta della Sistina ormai ultimata, che ben più della Mirandola aveva in cuore.

Così moriva l'ideologia dell'Uomo e si apriva la stagione della rovina d'Italia. Crollato a Fornovo, fra lo sbalordimento d'Europa, il prestigio militare degli Italiani ("gli Italiani non si battono", durerà fino ai nostri giorni), Giulio II, il rude vescovo di Albissola, giunto al soglio con le scarpe ancora appesantite dalla gleba, è un anacronismo che non vede il baluginare delle armi di Franza e Spagna in quella che ormai è terra di conquista, né il futuro oltraggio dei Lurchi accampati in S.Giovanni.

Ma il Saeculum morente si chiudeva con un lampo abbagliante: la volta dipinta "a buon fresco" della Cappella Sistina, dalla quale, ottava meraviglia del mondo, nacque "un nuovo modo di dipingere".

Strano sodalizio quello fra Michelangiolo e il terribile Giulio ("IL Papa ed il suo Pittore – Michelangelo e la nascita avventurosa della cappella Sistina" di Ross King. Ariccia, 2003 – Euro 18,00). Il primo, antico seguace del Frate di S.Marco, anima tormentata da mille dubbi, grovigli oscuri e non dipanati che s'avvolgono e cercano invano il bandolo come i versi aspri, più che versi, singhiozzi, naturalmente consonanti a quella Vittoria Colonna fatta censore di se tessa per schivar i rischi dell'eresia, non è Lutero, né Erasmo (entrambi a Roma in quegli anni). Il suo dramma esistenziale non si libera nella Protesta, né ha tanta arte di scrivere da tessere l'Elogio della Follia. Ma quanto a quell'altra Arte!  Nessuno ha mai saputo, dal tempo degli Antichi, strapparsi brandelli d'anima dal petto per farli vivere per sempre nel marmo.

Il secondo è Papa, un Papa terribile: la gente trema di fronte al suo ritratto esposto in Santa Maria del Popolo. È rozzo di modi, gran mangiatore e bevitore, spregiatore dei medici e delle medicine, ma dentro di sé porta, impastata all'astuzia del politico che vuol fare cose grandi per stupire il mondo con la gloria del suo regno, la fiamma di Mecenate. Blandisce, promette, lusinga, eccita vanità e rivalità e, alla fine, ottiene quel che vuole. Michele Angelo da scultore si farà Pittore e, cosa mai sperimentata, Pittore di "buon fresco", accettando la sfida dell'immensa superficie della volta Sistina.

Dipingere a fresco quella immensa superficie dell'edificio eretto da Baccio Pontelli (provveditore alle fortezze nelle Marche, sua è la rocca di Offida), era faccenda da far tremare vene e polsi e lavoro faticosissimo, da giovani; e poi c'era la questione della tomba di Papa Giulio, i blocchi di marmo di Carrara abbandonati sul piazzale del cantiere di San Pietro, opera per la quale Michelangelo aveva buttato il cuore e della quale riuscirà a compiere solo il Mosè.

Il Lettore di buona volontà troverà nell'esemplare lavoro di Ross King l'incredibile serie di problemi tecnici affrontati e risolti: un racconto coinvolgente esposto in modo piano e accattivante, sulla scorta rigorosissima della documentazione disponibile. Non gli dispiacerà scoprire come Michelangelo, gelosissimo dei progressi del suo lavoro, giocasse a rimpiattino con personaggi come Bramante, Sangallo, il divino Raffaello e financo con il Papa, tutti intenti a spiare la nascita dello stupefacente capolavoro. Raffaello, contrario speculare di Michelangiolo (tanto raffinato, elegante, donnaiolo quello, quanto sporco, trasandato, sessuofobo questi), quando riesce a gettare gli occhi sull'ancora incompiuta volta, gli rende, senza commenti, il più grande omaggio, con un'esplicita citazione nelle Stanze che sta dipingendo. 

Il terribile Giulio rivive in queste pagine mentre tenta di soppiatto di salire sull'impalcatura e Michelangiolo lo ferma tirandogli addosso (al Papa!) tavole prontamente divelte. Né sarà inutile tornare a riflettere sul rapporto Cinema- Cultura, scoprendo che il Michelangiolo intento a dipingere supino ("Il Tormento e l'Estasi") è nulla più di un errore di lettura di un cronachista. Vero è invece che lavorava in piedi su un piano di calpestìo di due metri e venti centimetri e che, per forza di cose, doveva dipingere con il capo gettato all'indietro ("La barba al cielo…/ e 'l pennel sopra il viso tuttavia, / mi fa gocciando, un ricco pavimento."

Su tutto incombono due misteri. Il simbolismo inusitato della mano, anzi del dito di Dio che dà la Vita ad Adamo e, placate ma irrisolte le feroci polemiche sul recente restauro, la domanda se Michelangelo volle un'esplosione di luce e figure umane, ovvero se, con accorto uso di velature ed ombreggiature, rimosse dal restauro, volle render omogeneo quell'immenso capolavoro.

La traduzione di Roberta Zupper rende con fedeltà e competenza il testo che, sebbene presupponga un'approfondita ricerca erudita, evidente nell'apparato di note e nella bibliografia, è leggibilissimo e avvincente, come è nella tradizione della storiografia e della saggistica anglosassone che, più della disquisizione accademica, ha a cuore la diffusione della cultura.

18/09/2003





        
  



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