Crisi alla FoodInvest (ex Surgela) di Porto d'Ascoli.
San Benedetto del Tronto | Comunicato congiunto di Cgil, Cisl e Uil per denunciare un'altra crisi in arrivo, dopo quella alla Co.Po.P.
di segreterie provinciali di Flai-Cgil, Fai-Cisl, Uil
Piove sul bagnato, a San Benedetto. Dopo la Co.Po.P. infatti, con il futuro dell'azienda appeso ad un filo, è ora la volta, come purtroppo da noi preannunciato nei giorni scorsi, di un'altra azienda del comparto agroalimentare a dichiarare lo stato di crisi.
La FoodInvest di Porto D'Ascoli, azienda del Gruppo Malavolta, martedì scorso ha infatti dichiarato alla Rsu, nel corso di un incontro svoltosi alla presenza dell'imprenditore teramano Aristide Malavolta, la necessità di procedere ad una riduzione di personale per ragioni di quadratura dei bilanci e nell'ottica di un contenimento delle spese, alla luce della volontà della Multinazionale elvetica Nestlé (precedentemente proprietaria dello stabilimento) di ritirare le commesse riguardanti la linea degli "Stir-fry" o piatti pronti che dir si voglia, ad oggi incidenti per un buon 40% del fatturato complessivo dell'azienda di Porto D'Ascoli.
Linea di prodotto ad alta redditività, considerata anche la bassa incidenza di mano d'opera, parte di ricavi della quale venivano utilizzati per ammortizzare le spese generali dello stabilimento.
La Nestlé ha depauperato e spogliato l'azienda dei marchi preesistenti, i quali avevano una valenza nazionale di prim'ordine, che ora rigenera sotto altra forma in altri suoi siti produttivi.
Siamo preoccupati per lo stato di forte crisi in cui si dibatte il comparto agroalimentare sambenedettese, e decisamente alterati per come oggi siamo costretti a rincorrere problemi pressanti, che all'epoca della vendita di Nestlé a Malavolta avevamo preventivato rimanendo però purtroppo inascoltati.
Certe politiche delle multinazionali, se da un lato sono da contrastare per via del fatto che non tengono in nessun conto il legame con il territorio (visto solo come business), ma il discorso potrebbe essere allargato anche ad imprese nazionali il cui potere decisionale è lontano dall'ubicazione degli stabilimenti produttivi, dall'altro lato sono emblematiche di come si muove il mercato e di quali potrebbero essere le future strategie d'intervento.
Nel caso dell'agroalimentare in generale, e di quello riguardante l'economia sambenedettese legata alla "catena del freddo" in particolare, risulta evidente e da parte nostra auspicabile dare seguito ad una duplice necessità:
1) Diversificazione, specializzazione e commercializzazione dei prodotti, puntando su quelli a più alto valore aggiunto in termini di richieste di mercato (es. piatti pronti);
2) Creazione di un "marchio d'area" che contraddistingua non solo i prodotti del territorio e la loro genuinità, bensì rafforzi un legame di filiera territoriale nel quale investire, a partire dall'impegno dei produttori (secondo i dettami di una sicurezza alimentare che vuole esigibili la tracciabilità e la rintracciabilità dei prodotti), ma che veda anche dal punto di vista della trasformazione impegnate organizzazioni di produttori locali riconosciute dalla U.E. che siano operative da anni nel settore.
A tale proposito l'impegno dovrebbe riguardare anche e soprattutto le istituzioni, nonché le altre parti sociali ed economiche interessate dalla filiera agroalimentare.
Vogliamo sapere se lo sviluppo futuro del polo sambenedettese debba basarsi sul turismo (integrato o meno), oppure se si vuole puntare a rilanciare l'economia attraverso i punti cardine del lavoro e delle produzioni industriali, in questo momento avviate su un crinale di pericoloso declino. Noi, crediamo sia chiaro a tutti, riteniamo che non possa esserci sviluppo se non accompagnato da una valida politica del lavoro, da una valida politica di sviluppo delle imprese.
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11/09/2003
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Betto Liberati