...Quei ragazzi delle scorte, quell'estate a Palermo.
| Un ricordo dei ragazzi che persero la loro gioventù vicino ai loro giudici.
di Patrizia Carosi
Era successo da poche ore, ed ancora Palermo era lacerata dalle sirene acustiche delle scorte che andavano e venivano per le strade. Vedevo Palermo per la prima volta, era notte, faceva caldo e il centro brulicava di gente, probabilmente come al solito. Rimasi colpita da un'autovettura blindata di servizio che ci si affiancò, in un imbottigliamento, così da poter scorgere sul sedile posteriore l'agente di scorta che "copriva il suo campo visivo" con una mitraglietta M12 rivolta all'indietro. Casualmente, stava passando sul marciapiede a fianco una famigliola a passeggio, che con apparente normalità si spostò di poco. L'unico ad avere lo sguardo attonito era l'agente di scorta.
Arrivai alla storica palazzina della Squadra Mobile e percepii subito la differenza che passa fra il leggere sui giornali delle cose Palermitane e respirarle. Una lapide interminabile riportava i nomi dei colleghi caduti.Una lista troppo lunga.
Dolore, impotenza, rabbia, lacrime sui volti di tutti. E un via-vai indescrivibile ed il tono delle voci alterate dalla fretta, stanchezza, nervosismo.
Andai sull'autostrada alle prime luci dell'alba, in quella "scena del crimine" che sembrava un luogo di devastazione che neppure le immagini televisive, così eloquenti, rendevano credibili. Cinquecento chili fra tritolo, compound B e nitrato di ammonio avevano causato una pioggia di schegge e detriti in ricaduta, che i reperti interessavano un'area così vasta da essere contenuti, alla fine di tutto, in circa trenta volumi di fascicolo dei rilievi tecnici.
In questo paesaggio irreale ci siamo mossi in rispettoso silenzio per lunghe ore, per giorni, ciascuno con il suo compito di spiare ogni più piccolo dettaglio, fotografare, descrivere, registrare, catalogare, estrarre campioni, raccogliere, imbustare, repertare.
Un piccolo esercito di cui faceva parte anche una pattuglia di colleghi americani, inviati con i loro nuovi strumenti portatili per collaborare insieme alla Polizia Scientifica italiana. La stessa equipe che aveva ricostruito l'attentato di Lokerby, ed ogni altro attentato nel mondo ove erano rimaste coinvolte vittime statunitensi. Stavano spesso immobili e senza parlare, seduti su un sasso o altro, fissando la scena, memorizzando, prendendo appunti.
L'onda d'urto dell'esplosione vive di vita propria: è una contraddizione perché produce morte con il suo avanzare, e gli esperti la immaginano, la seguono, cercano e trovano i suoi effetti su tutto ciò che incontrano. E quella sera si è infranta su un'auto che viaggiava a 160 km all'ora come un muro, accartocciandola, e poi ha trasportato la seconda auto a 60 metri e l'ha depositata in mezzo agli ulivi, ribaltata sul tetto. E per il giudice Giovanni Falcone, la D.ssa Francesca Morvillo, Antonino Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani, i ragazzi della scorta, è finità lì.
Ci apparve subito di grande rilievo la scoperta della piazzola in alto che si affacciava sul tratto autostradale dell'attentato: il film di Abel Ferrara ricostruisce fedelmente gli atti preparatori dell'attentato.Un gruppetto di persone che si prepara per lo "spettacolo", alcuni tagliano i rami degli ulivi per poter vedere l'allineamento, altri telefonano, altri ingannano l'attesa fumando nervosamente.
Quelle cicche furono fotografate, repertate e analizzate: da esse fu estratto il DNA degli esecutori materiali della strage. Era la prima volta in Italia che queste analisi entravano in una indagine e più tardi avrebbero costituito un riscontro fondamentale in un processo.
Non c'è mai tempo per le emozioni in un sopralluogo tecnico;c'è il rischio di distrarsi e di trascurare una esigua traccia. Si lavora in una sorta di apnea professionale, rimandando a un dopo che prima o poi arriverà.
Nel primo giorno di lavoro conobbi un giovane funzionario del Nucleo Prevenzione Crimine che ci collaborava con i suoi uomini nel sopralluogo largo. All'alba del giorno dopo perse la vita in un incidente stradale mentre si portava in un quartiere palermitano ad effettuare una serie di perquisizioni. Altro dolore sui visi dei colleghi, ma altro rinvio di emozioni.
Solo una breve parentesi per i funerali dei ragazzi della scorta, in una cattedrale che non riusciva a contenere i colleghi perché tutti volevano entrare. Solo l'ufficio Scorte della Questura di Palermo contava circa 400 uomini e volevano essere tutti lì, ma c'erano le scorte da assicurare, e i servizi ora stavano aumentando.
Una cerimonia straziante, che è entrata nelle case degli italiani attraverso le parole sussurrate della giovane moglie di Vito Schifani. Anche lui, come gli altri, era entrato a far parte della vita della personalità scortata come un'appendice.
I ragazzi delle scorte si affezionano, passano così tanto tempo insieme ai loro giudici da conoscerne ogni membro della famiglia, eventi importanti o semplici fatti quotidiani, e viceversa. Posso solo immaginare cosa è stato per questi ragazzi assegnati alle scorte, la morte dei loro colleghi. Cosa provavano i "sopravvissuti" quelli feriti gravemente nell'attentato, quelli che avevano smontato poco prima o che sarebbero subentrati dopo? Con quale animo hanno continuato a prendere servizio, dopo?
Ho incontrato molti miei ex-allievi fra questi giovani poliziotti, nei giorni successivi. Mi raccontavano che durante il servizio nessuno aveva il coraggio di parlare, come accadeva normalmente, perché avevano paura di distrarsi. E allora ho immaginato quanto doveva essere di pietra quel silenzio, in macchina o per strada.
Quel giorno in cattedrale pensammo tutti: che non succeda più.
E invece ho vissuto altri funerali di stato, due mesi dopo, con ancor più vittime: il giudice Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi.
Vincenzo Li Muli aveva 22 anni e un passato prossimo in Polizia di soli due anni. Fra le tante cose orribili, nel corso di quest'altro, ancor più terribile sopralluogo, mi trovai a repertare il suo portafogli quasi interamente bruciato.
All'interno, pochi spicci ed una serie di immagini della Madonna.
Poi, una foto tessera di una ragazza, con un numero telefonico da chiamare, se gli fosse successo qualcosa.
Improvvisamente tutti noi piombammo in quella tristezza che avevamo a lungo rinviato, per piangere, finalmente, i nostri morti.
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16/05/2003
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