Musica e Guerra. La musica non sceglie la guerra e spesso indica strade di pace!
| E' davvero necessario che le culture si scontrino? E' davvero possibile che non si riesca a impostare discorsi diversi da un braccio di ferro sul predominio di una cultura rispetto all'altra?
di Paolo De Bernardin
Negli occhi di tutti rimangono impresse le immagini della guerra a Bassora e Baghdad che le Tv occidentali hanno sapientemente censurato e che Al Jazeera ha invece documentato nella sua estrema durezza. Nelle orecchie la colonna sonora di questi giorni è stata un sibilo di bombe e un rumore assordante. A volte un tragico silenzio rotto dalle urla e dal pianto.
Forse tra qualche settimana un liuto arabo riprenderà, tra le macerie, il suo canto dolce e triste per restituire un habitat più consono alla quotidianità di quelle terre stravolte dalla guerra.
Dietro la logica perversa della scelta bellica giustificata, solo in apparenza, dal terrorismo e dalla dittatura, si nasconde spesso un perfido disegno di supremazia e di sopraffazione.
Nel tempo della globalizzazione la musica si è troppe volte prostrata all'omologazione di un suono che fonde popoli e culture diverse stracciandone i principi basilari in nome di un'industria che fagocita ogni respiro e ogni principio d'arte, annullando quelle matrici originarie che hanno contraddistinto le culture di ogni parte del mondo. Non è forse sopraffazione anche questa?
Solo pochi e geniali registi musicali hanno reso giustizia negli ultimi anni alle culture 'altre' cercando non fusione e dominio ma confronti e scambi e trovando un amalgama che, a volte, ha fatto gridare alla sorpresa e al miracolo.
Dall'incontro di J.S.Bach con le percussioni pigmee, di Giovanni da Palestrina con le voci bulgare, di W.A. Mozart con la musica egiziana ma anche del recente Michael Nyman con le strutture musicali indiane.
Lunedì sera al teatro Sistina di Roma ho assistito alla magica serata di una 'giovanissima' e leggiadra Jane Birkin (classe 1946) che ha aperto la sua sessione esotica accompagnata da un oud maghrebino (Amel Riahi el Mansouri) e un violino arabo (lo straordinario arrangiatore di tutti i brani, l'algerino Djamel Benyelles), sostenuti dalle magnifiche percussioni tipiche mediorientali (Aziz Boularoug). Un tappeto sonoro in cui si sono accordate le canzoni di Serge Gainsbourg e la musica marocchina senza nessuna prevaricazione e ognuno nel rispetto delle proprie matrici originali. Una vera e propria serata di magia che una gremita platea ha saputo sottolineare con applausi e ovazioni. Un florilegio di squisita fattura nato in seno al Festival di Avignone nel 1999 e prodotto da France Culture. Memorabili passi densi di atmosfera nati da una superba melodia come 'Elisa' nella quale la leggerezza ha sposato la malinconia, la dolcezza della voce della Birkin agli arabeschi dei bravissimi musicisti.
Per un attimo sono tornato nella memoria del tempo e dei libri, delle partiture antiche di un'epoca storica come il XIV° e XV° secolo nella quale l'Europa, e la Spagna in particolare, ha vissuto uno dei momenti culturali più alti nella fusione arabo-andalusa nata dalla convivenza pacifica di cattolici, ebrei e arabi.
Gli storici hanno etichettato quel periodo come Medio Evo ma, alla luce dell'attuale geopolitica, forse le definizioni andrebbero ricodificate. Quel periodo buio appartiene forse di più alla nostra 'modernissima' epoca.
Jane Birkin, grazie alla sua sensibilità artistica, ha saputo ridisegnare una strada di tolleranza e di pacifica convivenza.
La aspettiamo con ansia al Festival Ferré a San Benedetto.
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17/04/2003
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