Le parole di un poeta sulla poesia
| La poesia non è un passatempo: è l'occupazione principale.
di Lucilio Santoni*
(mutazioni)
ha cambiato pelle per sopportarsi,
s'è ristretto prudente nel fortino
e non apre, smiccia dallo spioncino
la sghemba orrenda faccia del mondo.
Questo testo è di Eugenio De Signoribus, una delle voci più forti e nitide nell'odierno panorama poetico italiano. Credo che esprima bene la denuncia del poeta nei confronti della nostra posizione verso il mondo. Chi cambia pelle per sopportarsi, cambia abito o casa o involucro, cambia naso, zigomi, culo o seno, non lo fa per piacere veramente agli altri, anche se questa è la motivazione, la giustificazione. Se così fosse, sarebbe cosa del tutto apprezzabile, visto che anche gli animali lo fanno per attrarre, per corteggiare, per accoppiarsi. Chi cambia pelle, come dice il poeta, lo fa per sopportarsi, lo fa per soddisfare un godimento autistico che ben poco ha a che fare col naturale gioco del corteggiamento fra i sessi.
Stanchi di essere soltanto nostri è un verso di un altro grande poeta del'900, Carlo Betocchi. Tutti i poeti dicono, in fondo, la stessa cosa. Uscire da se stessi. Non restare prudenti nel fortino. Prendere atto che il mondo, senza di noi, è esattamente lo stesso. Patetica la chiusura nel proprio bozzolo. Il poeta, quello vero, non parla di se stesso. Parla del mondo, dice il mondo, anche se con le proprie parole, uniche e irripetibili. E' vero che il mondo può avere una faccia sghemba e orrenda, ma non è restando a guardare dallo spioncino che ci si salva, non è parlando e scrivendo della propria angoscia e del proprio ombelico che si acquista il diritto di essere letti. Quel diritto lo si acquisisce gettando il proprio corpo, per dirla con Pasolini.
La poesia, come la filosofia, non est res subsiciva: ordinaria est diceva Seneca a Lucilio. Non è un passatempo, è l'occupazione principale. Questo non vuol dire, ovviamente, scrivere continuamente, vuol dire guardare costantemente il mondo con uno sguardo preciso e tagliente, gettarsi nell'impoeticità delle cose, nello sporco così come nel sublime. E questo costa fatica e sudore, perché vuol dire farsi carico del peso del mondo. Per questo soffre il poeta, non per i patetici malesseri amorosi e esistenziali che tanto riempiono gli in-folio prodotti in quantità dalla comunità degli scriventi. Senza quello sguardo e quella uscita da se stessi, pensiero del fuori lo chiamava Foucault, non si ha diritto ad essere letti e, credo, non si ha diritto neppure ad essere ascoltati.
*poeta
venerdì 21 marzo si celebra la Giornata Mondiale della Poesia: a questa festa, che quest'anno si svolge sotto il segno di una pace fragile e minacciata, dedichiamo questo pensiero di Lucilio Santoni.
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19/03/2003
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