Gaspari saluta il 4 novembre
San Benedetto del Tronto | "Oggi non celebriamo soltanto la vittoria della guerra e la festa delle Forze armate: Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri. È anche il giorno dellUnità nazionale."
di Giovanni Gaspari*

cerimonia di commemorazione del 4 novembre
Saluto le autorità presenti, civili e militari, i rappresentanti delle associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, e i rappresentanti del mondo della scuola. La commemorazione del 4 novembre, quest’anno, non può non partire dal ricordo dell’ultima tragedia che ha colpito la nostra marineria e l’intera comunità locale: l’affondamento del peschereccio “Rita Evelin”, che ha causato la morte di tre uomini, Francesco Annibali, Ounis Gasmi, Luigi Luchetti. La seconda tragedia in pochi mesi, dopo l’affondamento del “Vito Padre” avvenuto il 30 maggio scorso, in cui persero la vita Salvatore Calise e Luigi Marini.
Si tratta purtroppo degli ultimi episodi di una storia tormentata, quella del rapporto della città di San Benedetto e delle città vicine con il mare, risorsa generosa e tremenda al tempo stesso. Alle famiglie di questi nuovi caduti vanno le condoglianze della città e di tutti i presenti. Lo sgomento della città è generato dall’accaduto e dalla consapevolezza di questo doppio legame con la natura, ovvero dell’esposizione al rischio di chi lavora già in condizioni così dure.
Se la perdita di vite umane non trova facilmente conforto in chi la subisce, la città ha però mostrato sin da subito la sua vicinanza alle famiglie dei marinai. La comunità locale è composta da molte famiglie che si sono spostate da una città all’altra, che sono arrivate a San Benedetto o sono andate in centri vicini. Ma proprio in occasioni come questa verifichiamo l’esistenza di un tessuto sociale reso unitario dalla consapevolezza di un’identità fondata davvero sul lavoro e sulle nostre tradizionali attività economiche. Fondata quindi su una vera solidarietà verso gli altri.
* * *
Forse gli avvenimenti che commemoriamo il 4 novembre sono poco noti ai più. In ogni caso si tratta di una data che racchiude diversi significati, di una complessa pagina della nostra storia nazionale, importante in sé e per le conseguenze che ha generato negli anni successivi. Una pagina che abbiamo il dovere di far conoscere alle nuove generazioni, e di approfondire noi stessi.
Il 23 ottobre 1918 a Vittorio Veneto, al termine di una lunga guerra che per l’Italia era iniziata il 23 maggio 1915, l’esercito italiano iniziò l’ultima offensiva contro l’Impero Austro-Ungarico, che si arrese il 29. Il 3 novembre fu firmato l’armistizio, i soldati entrarono a Trento, i bersaglieri a Trieste. Il giorno successivo, data che oggi ricordiamo, il generale Diaz annunciò la vittoria della Prima guerra mondiale.
Si chiudeva così un conflitto particolarmente duro, l’«inutile strage» di cui parlò papa Benedetto XV, una guerra che causò perdite davvero immani, oltre quindici milioni di morti, dispersi, mutilati. L’Italia perse circa 650 mila uomini, e fu impegnata in combattimenti drammatici sul fronte orientale. Le Marche stesse subirono uno dei primi attacchi del conflitto: il bombardamento di Ancona da parte degli austro-ungarici. In generale fu però una guerra “di trincea”, una strategia imposta da nuove armi come la mitragliatrice, le armi chimiche, i bombardamenti aerei, e una situazione quotidiana che generò una sorta di specifica antropologia, un rapporto di fratellanza tra uomini strappati da varie regioni d’Italia, da mestieri per lo più artigiani o contadini.
Il 4 novembre non celebriamo soltanto la vittoria della guerra e la festa delle Forze armate: Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri. È anche il giorno dell’Unità nazionale. Si concludeva in quella data un processo durato settant’anni circa, per l’unificazione del territorio italiano. Peraltro, l’occupazione di alcune regioni della Jugoslavia, e i rapporti con quelle popolazioni, hanno avuto profonde conseguenze in seguito. Una situazione che peggiorò durante il fascismo e generò conflitti e ritorsioni ancora dopo la Seconda guerra mondiale e i suoi trattati territoriali.
Pensiamo alla situazione di città come Trieste o come Gorizia, quest’ultima attraversata da un confine dal settembre 1947 al primo maggio 2004, data in cui fu abbattuto il muro in virtù dell’ingresso della Slovenia nella Comunità europea. Conoscendo questi fatti non possiamo ripetere l’errore della violenza verso gli altri, ovvero della chiusura e della mancanza di dialogo.
A distanza di quasi novant’anni vogliamo celebrare nel 4 novembre la fine di un conflitto, il ritorno alla pace e il suo profondo valore. Cose che vanno difese con un particolare sforzo di consapevolezza. Infatti, come accadrà entro pochi anni per la Seconda guerra mondiale, del Primo conflitto non abbiamo più testimoni diretti. Dopo la disfatta di Caporetto, il 24 ottobre 1917, per riempire i vuoti di organico causati dalle immani perdite, furono arruolati i “ragazzi del ‘99”, come estrema risorsa per alimentare combattimenti altrettanto duri.
Il “Secolo breve”, come è stato chiamato il Novecento, è la nostra storia contemporanea, il periodo da cui il nostro presente è ancora oggi influenzato, nonostante la lontananza crescente di una data come il 4 novembre. È questo il motivo per il quale le discussioni su fatti che riguardano questo secolo accendono ancora oggi gli animi.
Non possiamo trascurare il valore esemplare di quegli avvenimenti. L’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale fu infatti accompagnata in un primo momento dall’entusiasmo di troppi “interventisti” illustri, anche tra gli intellettuali. E oggi, per fatti che accadono ad altre latitudini, in tutti i Paesi occidentali nascono gli stessi dibattiti: se intervenire o no, per cercare di risolvere le controversie internazionali con le armi.
Le nostre forze armate sono attualmente impegnate su vari fronti nel mondo, in Afghanistan, Kosovo, Iraq, solo per citare i principali. L’ultima missione, in Libano, avviene sotto le insegne dell’Onu. La nostra presenza vuole essere un contributo alla pace, la nostra attenzione è rivolta in primo luogo al rispetto del diritto internazionale. Il Comune di San Benedetto intende promuovere la consapevolezza su questi temi e contribuire alla pace nel mondo. Per questo ha aderito recentemente al coordinamento nazionale degli “Enti locali per la pace”. Dobbiamo anche ammettere, d’altra parte, che quello della pace è un obiettivo da perseguire anche dentro i nostri stessi confini nazionali, basta pensare al disagio, a volte drammatico, in cui vivono alcune regioni italiane, specie al sud.
Al presidente Ciampi dobbiamo molti insegnamenti. E in particolare gli siamo grati per la capacità che ha avuto, di riportare al centro dell’attenzione il passato più o meno recente del nostro Paese, privandolo di ogni retorica e inseguendo la “storia condivisa”: una meta ancora oggi non raggiunta, ma per la quale possiamo impegnarci laicamente.
A questo compito siamo chiamati tutti, ma specialmente gli studenti, che sono gli uomini e i ricercatori di domani. Il coinvolgimento delle scuole a questa celebrazione voleva avere lo scopo di trasmettere i contenuti della nostra storia e i valori su cui è fondata. I giovani sono nati in un periodo di pace in Italia, una condizione che sembra addirittura un’eccezione nella storia, per quanto faticosamente conquistata proprio attraverso tappe come quella che oggi ricordiamo.
La pace non generi in nessuno assuefazione. La consapevolezza delle origini storiche del presente deve invece indurre ognuno ad apprezzare e difendere le condizioni che permettono di costruire liberamente la propria vita, appagare la propria curiosità per il mondo, favorire la crescita della società, e della solidarietà al suo interno. Queste condizioni sono appunto ciò che chiamiamo “pace”. Difenderle è il nostro compito.
Viva la Repubblica, viva l’Italia, viva le Forze armate e la pace!
*Sindaco di San Benedetto del Tronto
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05/11/2006
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