Il 2005. Anno della Coscienza
San Benedetto del Tronto | Tra coscienza e scienza e tra menzogne e politica ricordando Seneca
di Tonino Armata
Se dovessi riassumere in una battuta il significato del 2005, direi che è stato l’anno della Coscienza. Politica, etica, religiosa, individuale. Che ha vinto una battaglia molto aspra e molto sentita, e continua a segnare dei punti a scapito della scienza, la grande sconfitta: battuta politicamente sul campo durante il referendum per la fecondazione assistita, messa ai margini culturalmente da una forte avanzata del creazionismo e dagli attacchi al relativismo, punita economicamente dalla scarsità di fondi pubblici e privati, che sono stati assegnati alla ricerca. Nel 2005 insomma, Coscienza e Scienza si sono contrapposte, come fossero l’una il Bene e l’altra il Male.
Il Male sarebbe la ricerca sulle cellule staminali embrionali sulla quale Luca Concioni (che ormai comunica soltanto con gli occhi grazie ad un programma di scrittura e un sintetizzatore vocale) spende tutte le energie della sua difficile esistenza con la malattia che lo ha paralizzato quasi completamente. Il Male sarebbe l’autanasia, sulla quale il professor Veronesi ha scritto parole di saggezza. Sulla sua “idea” di voler far rispettare la volontà di un malato che desidera porre fine alla propria vita, tranne qualche voce solidale e avversa, è calato un generale silenzio. Il Male sarebbe la pillola Ru486 (che evita l’aborto chirurgico) e soprattutto la legge 194 che tutela l’interruzione di gravidanza e che è diventata materia di propaganda elettorale. Nel 2006 vedremo, purtroppo, il ripetersi di un conflitto aspro: chi, come il sottoscritto, crede nell’equilibrio, anche tra Coscienza e Scienza, probabilmente resterà deluso.
Tra i fatti avvenuti, non possiamo dimenticare l’approvazione della devoluzione. La riforma costituzionale prevede un cambiamento di competenze su alcuni settori importanti della vita sociale. Tra questi la sanità che, secondo la nuova legge, dipenderà esclusivamente dalle Regioni. Ora, siccome le cassandre non ci sono simpatiche, cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno, in questo senso: le Regioni dove la Sanità funziona, con la devoluzione andrà meglio, in quelle dove avviene il contrario c’è il rischio che l’assistenza ai cittadini peggiori. Ma sono ragionamenti ipotetici perché la riforma sarà applicata soltanto se i cittadini l’approveranno attraverso il referendum che si terrà il prossimo anno. Se, come vari indicatori fanno presumere, le urne bocceranno la devoluzione, tutto continuerà come adesso.
Chiudo questo mio modesto intervento parlando di politica. Mi sono spesso domandato che cos’è che spinge le donne e gli uomini moderni a leggere i classici. La prima risposta che m’è venuta è che i classici sono tali perché per una qualche ragione non invecchiano. La seconda, che illumina la prima, è che i classici attraggono perché contenendo cose che ci riguardano ci fidiamo più di chi è in lista d’attesa.
Seneca, per esempio. Leggevo una delle sue epistole a Lucilio, nella quale il moralista affronta la questione del pudore, quel rossore che vedeva affiorare sul volto d’un giovinetto venuto a dargli notizia. Nella stessa epistola si vengono a sapere cose gustosissime, come ad esempio il fatto che il grande Pompeo pare arrossisse quando prendeva la parola in pubblico.
Chi l’avrebbe detto noi che leggiamo le gesta di quel grande. Per associazione d’idee ho pensato alla mancanza di pudore dei dirigenti politici nostrani: quando parlano in pubblico non si vergognano di contraddirsi ogni secondo o di parlare come molti personaggi della vecchia Dc. Inciuciavano per comandare e comandavano per inciuciare. Qui viene ancora in aiuto Seneca nella stessa epistola, quando dice che gli attori, che imitano i sentimenti umani, pur potendo imitare il pudore con la voce e con lo sguardo non riescono a far affiorare un rossore naturale e si devono truccare.
Dobbiamo essere grati ai dirigenti politici nostrani: ci rivelano che il teatro è vivissimo, nonostante la mancanza d’autori contemporanei. I nostri dirigenti politici usano la menzogna come un’arma sia per difendersi dalle loro stesse parole quando devono smentirle perché precipitose o imprudenti, sia per smascherare i propri eventuali fallimenti. Lo fanno tutti, ovunque, infatti, i dirigenti politici nostrani non vanno mai giudicati da ciò che dicono (le “Primarie” si devono fare entro il 27 novembre), solo da ciò che fanno (hanno deciso di candidare il segretario provinciale dei Ds a patto che non si svolgano le “Primarie”).
Buon felice Anno nuovo a tutti i lettori de “ilQuotidiano.it”
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04/01/2006
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