Primarie di qualità o quantità senza primarie per il centro sinistra
San Benedetto del Tronto | Dicono voci autorevoli che delle primarie per le elezioni comunali non cè bisogno...
di Renato Novelli
...non è un errore politico, ma un chiaro caso clinico di dipendenza negativa da sostanza nociva detta mancanza di apertura. La grande novità delle primarie per Prodi, confermata da quelle siciliane, è costituita dal fatto che il 30% circa ( A San Benedetto ancora di più) dell’elettorato di centro sinistra, si auto scheda dando i propri dati, fa la fila per votare con due messaggi rivolti alla propria società politica: vogliamo darvi più forza per vincere contro il centro destra, vogliamo contare un po’ di più. Un nuovo soggetto politico si è registrato nella scena nazionale e locale.
Non è stata la manifestazione di un giorno, né un’allegra sbornia. L’intelligenza politica dovrebbe consistere nel cogliere le tendenze e trasformarle in piattaforme, ipotesi, dialogo. Pensavo che i partiti e i navigatori di lungo corso della politica, la cui esperienza e organizzazione è essenziale, avrebbero scelto quei 3910 cittadini come interlocutori della costruzione di un programma per la prossima amministrazione e di un processo politico di mobilitazione. Pensavo, di conseguenza, che il Forum avrebbe approfittato dell’occasione per ampliare i confini un po’ definiti e ristretti delle adesioni e della dialettica legata al dialogo - polemica con i partiti.
Non è accaduto nulla di tutto questo. Il programma è diventato il classico programmismo, dove gli obbiettivi sono i pesi del bilancino delle aspirazioni alle cariche di assessorato, le riunioni frequenti e indecifrabili a chi non ha studiato politica per anni. Le primarie paradossalmente non basterebbero più a produrre un clima positivo di mobilitazione. O meglio, possono essere utili, solo se segnate da un marchio di qualità, che non è la contrapposizione tra persone, ma il confronto tra candidati su contenuti. Non per nostro demerito, siamo ad un bivio. L’intero ampio territorio della città larga, richiedono una grande trasformazione che solo le amministrazioni pubbliche possono promuovere, coordinare e governare per far agire liberamente e creativamente i soggetti sociali. Io vedo come essenziali:
la costruzione di un distretto avanzato orizzontale di qualità dove il coordinamento delle risorse dal turismo, all’industria e agricoltura, ai servizi in sintonia propongano un’organizzazione competitiva
la trasformazione delle politiche sociali attraverso servizi fondati sul fatto che la città stessa è un centro permanente di soluzione dei problemi una politica urbanistica vera, legata alla grande città reale della nostra vita che richiede soluzioni adeguate alle dimensioni, al degrado, al sovra – affollamento edilizio. L’Emilia è una grande aggregazione, lo è Roma con l’estensione fino a Napoli e Salerno, lo è la mirabile Francoforte estesa all’Assia centrale. Non di case e palazzi, da fare e da non fare, non di un Piano regolatore nato vecchio e inadeguato, ma di progetti innovatori e di trasparenza, dovremmo occuparci.
Questo intervento è dettato da una cultura molto studiata: la cultura del rimpianto. Dalla quale, però, secondo gli antropologi che se ne occupano, possono uscire idee per soluzioni, se si creano condizioni favorevoli. Forse oggi, una di queste è che gruppi di giovani (per la politica non rigorosamente per anagrafe), si mobilitino su contenuti, senza ambizioni di entrare nella società politica stessa, ma pronti a raccogliere le indicazioni di obbiettivi chiari e impegni forti per il programma.
Tre punti per la grande trasformazione e una serie di cambiali da onorare anche sulla riparazione delle mattonelle dei marciapiedi. La società politica potrebbe trovare il tempo delle decisioni e della partecipazione, invece di vagare come Ulisse senza riuscire a trovare Itaca, anche perché non è detto che Penelope non perda l’attesa e se stessa.
Non è stata la manifestazione di un giorno, né un’allegra sbornia. L’intelligenza politica dovrebbe consistere nel cogliere le tendenze e trasformarle in piattaforme, ipotesi, dialogo. Pensavo che i partiti e i navigatori di lungo corso della politica, la cui esperienza e organizzazione è essenziale, avrebbero scelto quei 3910 cittadini come interlocutori della costruzione di un programma per la prossima amministrazione e di un processo politico di mobilitazione. Pensavo, di conseguenza, che il Forum avrebbe approfittato dell’occasione per ampliare i confini un po’ definiti e ristretti delle adesioni e della dialettica legata al dialogo - polemica con i partiti.
Non è accaduto nulla di tutto questo. Il programma è diventato il classico programmismo, dove gli obbiettivi sono i pesi del bilancino delle aspirazioni alle cariche di assessorato, le riunioni frequenti e indecifrabili a chi non ha studiato politica per anni. Le primarie paradossalmente non basterebbero più a produrre un clima positivo di mobilitazione. O meglio, possono essere utili, solo se segnate da un marchio di qualità, che non è la contrapposizione tra persone, ma il confronto tra candidati su contenuti. Non per nostro demerito, siamo ad un bivio. L’intero ampio territorio della città larga, richiedono una grande trasformazione che solo le amministrazioni pubbliche possono promuovere, coordinare e governare per far agire liberamente e creativamente i soggetti sociali. Io vedo come essenziali:
la costruzione di un distretto avanzato orizzontale di qualità dove il coordinamento delle risorse dal turismo, all’industria e agricoltura, ai servizi in sintonia propongano un’organizzazione competitiva
la trasformazione delle politiche sociali attraverso servizi fondati sul fatto che la città stessa è un centro permanente di soluzione dei problemi una politica urbanistica vera, legata alla grande città reale della nostra vita che richiede soluzioni adeguate alle dimensioni, al degrado, al sovra – affollamento edilizio. L’Emilia è una grande aggregazione, lo è Roma con l’estensione fino a Napoli e Salerno, lo è la mirabile Francoforte estesa all’Assia centrale. Non di case e palazzi, da fare e da non fare, non di un Piano regolatore nato vecchio e inadeguato, ma di progetti innovatori e di trasparenza, dovremmo occuparci.
Questo intervento è dettato da una cultura molto studiata: la cultura del rimpianto. Dalla quale, però, secondo gli antropologi che se ne occupano, possono uscire idee per soluzioni, se si creano condizioni favorevoli. Forse oggi, una di queste è che gruppi di giovani (per la politica non rigorosamente per anagrafe), si mobilitino su contenuti, senza ambizioni di entrare nella società politica stessa, ma pronti a raccogliere le indicazioni di obbiettivi chiari e impegni forti per il programma.
Tre punti per la grande trasformazione e una serie di cambiali da onorare anche sulla riparazione delle mattonelle dei marciapiedi. La società politica potrebbe trovare il tempo delle decisioni e della partecipazione, invece di vagare come Ulisse senza riuscire a trovare Itaca, anche perché non è detto che Penelope non perda l’attesa e se stessa.
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07/12/2005
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