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Un canto di Natale

Grottammare | I miei auguri di Buon Natale attraverso il celebre racconto di Dickens.

di Antonella Roncarolo


Nell’appuntamento natalizio con la scelta dei regali, permettetemi un consiglio. Regalate un libro.
Ma non un libro qualsiasi, come l’ultimo scritto dal solito demenziale personaggio televisivo o dal giornalista che si finge indipendente e originale.
Regalate un piccolo grande classico come “Un canto di natale” di Charles Dickens.

Il breve romanzo che lo scrittore inglese scrisse quasi per gioco, è conosciuto in tutto il mondo soprattutto per le numerosi versioni cinematografiche. Anche Walt Disney ne fece un delizioso cortometraggio con Paperon de Paperoni, naturalmente, nella parte di Scrooge ( Scrooge è il nome anglosassone dello zio avaro e  miliardario), Paperino nella parte del nipote e Topolino il tenero e infelice impiegato Bob Cratchit.
Sono sicura, però, che pochi lo abbiano letto, e questo potrebbe essere il momento giusto.

Ogni Natale, in ogni casa, in tutto il mondo, c'è un appuntamento che ciascuno ha con se stesso.
Anche Scrooge, il protagonista di questa storia, deve fare i conti coi ricordi del passato, con le aspettative del futuro, con la realtà presente. La sua realtà è fatta di solitudine, avarizia, egoismo. Perfino a Natale non sa trovare nulla da offrire agli altri, né beni né parole. Per lo Scrooge di Dickens non esiste che il Dio denaro, che, per essere ben onorato, deve essere risparmiato, messo da parte. Egli non si ama abbastanza da donarsi qualcosa. Come si può pretendere che possa donare agli altri?

Occorre qualcosa che lo scuota ma, poiché i comuni mortali lo lasciano indifferente, occorrerà nientemeno che un fantasma, quello del suo defunto socio Marley il quale gli si presenta per annunciargli la visita di tre spiriti, quello dei Natali passati, quello del Natale presente e dei Natali futuri. Ciò che è accaduto, ciò che sta accadendo, ciò che potrà accadere.

All'uomo, insegna Dickens, è dato cambiare solo il futuro, il mondo delle possibilità. Niente può cancellare ciò che è stato, ma partiamo dal presente per rendere diverso quel che abbiamo davanti, guardiamoci intorno, osserviamo gli altri, partecipiamo alle loro gioie e ai loro dolori poiché, alla fine, non c'è altro.

So bene che Dickens è uno scrittore dell'ottocento, che tanto, quasi tutto, è cambiato intorno a noi, che molti lo giudicano superato, che tanti sono quelli che non lo hanno mai letto e che il suo fantasma, se tornasse giù sulla terra, resterebbe stupito e non troverebbe parole.
Ma soprattutto non troverebbe un sentimento che è il senso stesso della vita sulla terra e che gli occidentali, anche i più religiosi e praticanti, hanno perso, il sentimento della compassione.

In India, quando ci si saluta, si giungono le mani al petto e si mormora “Namastè”, saluto il divino che è in te.
Se ognuno di noi fosse convinto di questo, rispetteremmo e ameremmo il diverso, lo straniero, il più piccolo tra gli uomini, riconoscendo in lui la scintilla della ragione che lo rende divino.
Noi, ricchi consumatori e consumati, non siamo più in grado di vedere la luce che è nell’uomo.

Cerchiamola in noi e, poi, negli altri. Che sia ogni nostro Natale pieno d'amore, su tutta la terra. E che sia Natale ogni giorno dell'anno.

 

22/12/2005





        
  



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