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Performance di corpi, immagini e musica realizzato dal Groppo in gola

Ascoli Piceno | “Sala buia. Una rigorosa oscurità funerea domina lo spazio del sentire. Rumori di fondo…. Irrompe la luce, il senso, il viaggio”

di Andrea Fioravanti*

 
Sala buia. Una rigorosa oscurità funerea domina lo spazio del sentire. Rumori di fondo…. Irrompe la luce, il senso, il viaggio. La musica morbida invade l’ambiente propagandosi in soffici cerchi concentrici. Una musa danzante avanza dal fondo, ci mostra il suo volto…una maschera d’oro; i gesti delle sue mani ci catturano come i movimenti di un’illusionista. L’altare laterale è un trittico religioso in movimento. Sullo schermo centrale la riproduzione del tempo che genererà di nuovo asimmetria nell’ordine dell’oscurità, precarietà nel rigore dello schermo nero.
 
 Così inizia P.P.P performance di corpi, immagini e musica, realizzato da Groppo in gola (Fabio Speranza, Andrea Amendola, Pino Capomolla, Alessandra Colombini, Letizia D’Ubaldo) domenica 27 novembre all’Auditorium Fondazione Carisap di Ascoli Piceno.
 
Pasolini, l’espressione del suo io visivo, l’amore per le creature e per le cose, la loro scoperta portano a sperimentare nuovi sguardi che si traducono in nuove possibilità espressive, in assoluta coerenza con gli impulsi dei suoi sentimenti e delle sue esperienze quotidiane. La performance che fa parte de I luoghi del molteplice – Omaggio a Pier Paolo Pasolini inizia toccando le corde giuste della memoria viva, soffiando via la polvere ipocrita che vuole fare della figura e dell’arte di Pasolini una lettura agiografica, a trent’anni dalla sua morte.
 
All’alba del 2 novembre 1975 veniva trovato, abbandonato nel vasto squallore dell’idroscalo di Ostia, a pochi chilometri da Roma, un corpo esamine, un uomo martoriato dalle ossa rotte ed il viso tumefatto, quasi irriconoscibile. Così era finita la vita di Pier Paolo Pasolini, per mano di un ragazzetto di borgata, con la stessa barbara violenza che lui aveva spesso descritto e con cui in vita era stato attaccato sul piano giuridico politico ideologico e morale.
 
Non è facile parlare di Pasolini in queste settimane di troppe commemorazioni, come se il paese, che mai come oggi ha corrisposto così tanto, si sia trasformato in ciò che di peggio Pasolini profetizzava, volesse ipocritamente onorarlo post mortem facendone un santino, o peggio un icona. Commemorazioni realizzate tra l’altro in quella logica che il poeta-regista aborriva, quella del carnevale mediatico. Ed è questo che le celebrazioni di quest’anno tendono a dimenticare, timorose di parlare dell’oggi come dell’avveramento delle peggiori paure pasoliniane.
 
Davvero bella, allora, la performance P.P.P., la quale rinuncia all’agiografia e si concentra sulla emozionante impresa di far (ri)vivere i concetti pasoliniani; ci prende alla gola con suggestioni viscerali e concetti ancora sanguinanti che pensano. Pasolini era un intellettuale che ha vissuto sulla sua pelle la forza della cultura e le contraddizioni delle sue passioni, ma soprattutto lo sforzo di vivere in un epoca di cui lui stesso aveva scorto i germi di un nichilismo imperante. Ed è questo l’aspetto su cui più si concentra il lirismo della performance: l’attualità poetica del pensiero pasoliniano.
 
La danzatrice prosegue il suo ballo spostandosi delicatamente da una parte all’altra dello spazio, e mostre patate di un blu lisergico: terra, mondo contadino e poesia trascendente, quasi immaginifica. Qui si coglie davvero l’universo poetico e l’immaginario del poeta.
 
Il film La ricotta (1963) sull’altare laterale, approfondisce la tematica attorno alla dialettica non priva di tensione tra sacro e profano. Pasolini concepisce il folgorante incipit di La ricotta proprio con la ricostruzione scenografica a Tableau vivant a colori (il resto dell’episodio è in bianco e nero) della Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino, e della Deposizione del Pontorno.
 
In due sequenze gemelle il regista del film da girare Orson Welles ricrea fedeli e grandiose le repliche viventi dei celebri dipinti del Rosso e del Pontorno. Se in Pasolini la riproposta dei due Tableaux vivants in chiave di calligrafismo esasperato (ma pur sempre densa di fascino) si è resa necessaria per una forma più o meno cosciente di autoesorcismo nei confronti di qualunque tentazione estetica, così la riproposta del film nell’istallazione di Groppo in gola si ripromette di investigare il rapporto tra la passione convenzionale, statica e scristianizzata.
 
La passione della società contemporanea è completamente priva di contenuto religioso e fatta apposta per la comodità di una congrega, appunto, anch’essa del tutto irreligiosa. La vera passione è quella del protagonista inverata nella sua solitudine, nella sua umiliazione, nella sua “fame” e nell’irrisione cui è sottoposto.
 
Ma è il video nello schermo centrale che cattura l’attenzione. Anzi la costrizione logistica fa assumere al video un importanza innaturale dal punto di vista dell’amalgama delle espressioni artistiche che vengono offerte.
 
Sullo schermo scorrono porzioni di film, ritagli del viaggio intellettuale del poeta, su cui si innestano nuove particelle di senso (o sarebbe meglio dire di non senso) che il mondo contemporaneo ci offre.
 
Accattone, Mamma Roma, La ricotta, Uccellacci Uccellini, e le altre opere di Pasolini (soprattutto Salò e le 120 giornate di Sodoma) si innervano di significato fecondandosi con le schegge visive post-moderne (Abu Graib, Guantanamo, l’Africa, Genova 2001, l’orgia mediatica vaticana tra morte e resurrezione-elezione del nuovo Pontefice). Spesso però la strada concettuale per immagini non è l’invito ad un sentiero tracciato, ma un percorso di senso obbligato, forse troppo diretto.
 
Come detto, l’impossibilità logistica, data da un ordine obbligato dello spazio, non fa vivere, anzi fruire, appieno l’atmosfera; non permette di godere della dispersione nel tutto poetico. Sarebbe stato più bello essere investiti dall’istallazione-performance mentre si cercava ognuno una sua prospettiva. Perché davvero significativi risultano i temi che ricorrono all’interno della manifestazione artistica.
 
Gli argomenti si possono raggruppare entro queste categorie, vale a dire lo scandalo, la polarità norma-anormalità, la tensione verso il sacro, il tragico, e la poetica della morte, che il poeta stesso ha incarnato fino alla sua morte.
 
Pasolini era diventato il più lucido, il più coraggioso, il più deciso e coinvolto da dentro e non dall’alto, dei critici della nostra società e della sua involuzione politica e morale, con tutta quella produzione di articoli e interventi che denunciavano il “genocidio” del mondo contadino e popolare, le viltà e i crimini del palazzo, ed inoltre le ambiguità ed i cedimenti morali della sinistra, l’invadenza disastrosa della televisione.
 
Le denuncie di Pasolini si sono dimostrate a posteriori le più radicali e purtroppo le più giuste. Ai funerali di Pasolini Elsa Morante gridò “non si uccidono i poeti”. Appunto i poeti…quelli che oggi non ci sono proprio più…o se ci sono non sappiamo più ascoltarli.

*Critico cinematografico

17/12/2005





        
  



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