Ascanio Celestini
Porto San Giorgio | Intervista allautore e interprete de "La pecora nera"
di Francesca Ripa
Ascanio Celestini, già conosciuto per spettacoli come Fabbrica, Radio Clandestina, Scemo di guerra, negli ultimi tre anni ha raccolto testimonianze di infermieri e “matti” che gli hanno raccontato del manicomio. E’ stato a Perugia, Roma, Parma, Reggio Emilia, Udine, Bologna Venezia e Imola. Da questo lavoro nasce lo spettacolo La pecora nera andato in scena ieri sera al teatro comunale di Porto S. Giorgio.
Quando si presentava ai protagonisti di queste vicende come la accoglievano, con diffidenza o con voglia di raccontare? Prima di presentarmi faccio in modo che loro mi conoscano, gli invito ai miei spettacoli, cerco di prepararli, per fargli capire in che modo i loro racconti verranno elaborati e narrati. Ma sono contenti di poter raccontare la loro storia.
Qual è la parte del lavoro che preferisce, quando raccoglie materiale o quando lo mette in scena per raccontarlo al pubblico? Ma… non so. E’ bello tutto. (Ci pensa un po’ e poi) Ma quando sei in pizzeria e chiacchieri con un amico è più bello quando ascolti o quando parli? E’ la stessa cosa!
Ma perché una storia sul manicomio, che poi sfocia nel supermercato? Perché sono due luoghi in cui si perde l’identità. Diventiamo tutti uguali sia nell’Istituto che nel Supermercato. Mi ricordo quando bambino mia madre preparava il ciambellone. Quello aveva una storia, un vissuto, un senso. Al supermercato puoi comprare di tutto, anche una pagnotta di pane, poi non importa se sei solo a casa e ti avanza, lo butti. Prima non lo buttavi, quel pane aveva un valore.
Racconti le storie del passato portandole a teatro, sei la voce di chi non ha voce? Della deportazione degli abitanti del ghetto a Roma, non sapeva niente nessuno. Io gli ho chiesto ma perché non l’avete detto? -Noi l’abbiamo detto, ne abbiamo parlato ma fra di noi, ma chi vuoi che ci ascolti?- Conosciamo la storia degli ebrei perché ce l’ha raccontata Primo Levi, ma lui è uno scrittore e ha saputo raccontarla. Questi erano, uno idraulico, uno operaio… e se la raccontavano fra di loro e basta. Io faccio un teatro politico nel senso di polis, di comunità. Parlo di quello che conoscono e della gente che conosco. C’è chi ascolta Paolo Conte o Laura Pausini… io preferisco ascoltare la mia vicina di casa che canta. Solo perché non so cantare, o non so scrivere o non so parlare... che devo sta zitto? No, zitto non ci sto! Non è che la gente non racconta è che nessuno li sta a sentì!
Sei un cantastorie, un affabulatore lungo la scia di Dario Fo e Marco Paolini, come loro parti dal tuo vissuto. Tutti mettono in scena il loro vissuto perché è parte integrante della persona stessa, ma è diverso. Loro si documentano e narrano vicende sociali anche lontane. Io parto da quello che mi è vicino, non vado lontano, non metto inscena quello che leggo sui giornali. Mio padre quando vede il telegiornale dice -Andiamo a contà i morti!- Ma perché non sembrano morti veri. Poi se vedi un gatto spiaccicato sull’asfalto… quello ti fa più impressione, perché è li, vicino. Io racconto il mio vicino.
Fare un’intervista ad Ascanio Celestini è difficile, viene voglia di chiacchierare e di scambiarsi opinioni. La sua semplicità è quasi disarmante, e la naturalezza che ha sul palco è la stessa che ha giù dal palco. Non resta che aspettare la sua prossima storia.
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30/11/2005
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