La pecora nera
| Ieri sera al teatro comunale il nuovo spettacolo di Ascanio Celestini
di Francesca Ripa
“Io sono morto quest’anno. Tutti volevano morire quest’anno. Chi ha vissuto fino ad oggi ha visto tutto quello che si poteva vedere. Ha visto i cani nello spazio, gli uomini sulla luna e un robot a rotelle su marte. Ha visto esplodere New York, Londra e Madrid e non più soltanto Kabul e Baghdad. Ha visto l’ovetto Kinder che trasforma tutti i giorni dell’anno in una Pasqua infinita. Ha visto il latte in polvere, il vino in tetrapak e le fragole con l’aceto”.
La pecora nera, sottotitolo, Elogio funebre del manicomio elettrico, inizia così. Ascanio Celestini è andato in scena ieri sera al teatro comunale di Porto S. Giorgio, tra gli applausi interminabile del pubblico divertito. Il racconto nasce dalla riflessione sulla legge Basaglia, la 180 del 1978, che stabilì la chiusura dei manicomi.
Ascanio Celestini è un cantastorie della miglior tradizione oratoria. Racconta il passato e racconta il presente, per lui uno non esiste senza l’altro. Così come in Scemo di guerra, Radio clandestina, solo per citare alcuni dei lavori del giovane autore, poco più che trentenne, anche in La pecora nera la memoria diviene una chiave di lettura per la contemporaneità.
I matti sono matti perché hanno paura. Essere matto è come stare sempre con la luce accesa e non si dorme più e si rimane catatonici con lo sguardo vuoto. Essere matto è come stare sempre al buio, e il buio fa paura. Si può morire di paura, dice Ascanio. Ma la paura non è una malattia. I matti sono chiusi in manicomio e perdono la loro identità con un elettroshock dopo l’altro. Così non danno più fastidio a nessuno. La gente, quella fuori dall’istituto, invece si chiude nel super mercato e compra. Compra prodotti colorati, belli e finti. Talmente finti da rendere tutti uguali, prodotti e consumatori. E’ Natale tutto l’anno, è Pasqua tutto l’anno. Il super mercato è sempre aperto e la luce è sempre accesa. E si diventa un po’ catatonici con lo sguardo fisso sul prodotto.
Ascanio corre veloce con le parole. Tra le risate del pubblico demolisce l’unica certezza: l’aldilà. Niente paradiso, niente inferno, niente. La gente ride lo stesso e non solo perché Celestini ha creato un momento di paradossale e irresistibile comicità, ma perché è un narratore così bravo che la storia semplice di una persona comune diventa preziosa, più degli idoli sacri e profani.
Ascanio è così. Semplice e naturale. Ci si dimentica di essere a teatro e sembra di essere al bar dove l’affabulatore del paese racconta una storia di casa sua.
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30/11/2005
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