Perchè?
| Sulle violenze in Iracq si interroga "emme"
di emme
Le immagini sconvolgenti filtrate dalle prigioni americane in Iracq, nuocciono agli USA e, per essi, alla Democrazia, più di una battaglia perduta. La politica che ha distrutto, in una con la malvagità oggettiva di un dittatore, uno Stato laico in un settore geografico fortemente connotato da aspirazioni teocratiche fondamentalistiche, ha indotto molti a credere, giusta od ingiusta che fosse l'azione bellica, un ' ritorno ' in termini di radicamento di valori di libertà, uguaglianza, tolleranza, avrebbe compensato e fatto aggio sul rombo dei cannoni.
Si scopre ora ( per la verità, più che scoprire adesso si documenta quel che si sapeva e che Il Corriere della Sera rendeva noto fin dal 22 maggio 2003) che, ancora una volta, le intenzioni dichiarate e gli "scopi di guerra" sbandierati, lungi dall'avere il supporto di condotte coerenti da parte degli occupanti, sono da questi smentiti nei termini più crudi.
In guerra può accadere di tutto, si dice : la rappresaglia indiscriminata, la brutalità in combattimento e nel momento di accettare una resa, lo sterminio di civili inermi, la distruzione delle vestigia di una cultura insieme a case, ospedali, scuole. Ognuno di questi tristi episodi alimenterà per anni la polemica politica e sarà sfruttato per seminare odio e rivalsa. Tutto questo, purtroppo, fa parte della guerra guerreggiata, certamente non della temporanea occupazione di un Paese che segue la fine della guerra.
Quel che, in ogni caso, non fa parte della guerra tecnicamente parlando è l'umiliazione , la tortura del nemico vinto e ridotto in ceppi. " Parcere subiectis", dicevano i Romani, che di guerre se ne intendevano: al furore del combattimento ed alle sue immediate, atroci conseguenze, deve subentrare la sollecitudine per i vinti, il rispetto per persone non più nemiche, non più in grado di combattere. Premere il tallone sul cranio di chi è stato sconfitto è la peggior politica che si possa immaginare, quando si occupa una Patria altrui.
Insensibilità politica? insipienza di generali?. Forse. Certamente un errore dal quale nessuno è stato esente nel corso della Storia: lo fecero i tedeschi durante l'ultima guerra con effetti devastanti e drammatici dei quali portiamo ancora il segno. Lo fecero i Russi quando occuparono Polonia e Germania. Lo fecero gli alleati, per un sia pur limitato periodo, quando sottomisero i tedeschi. Gli Italiani, prima delle scatolette e delle cioccolate lanciate da bordo degli Shermann, fra tutti gli Alleati conobbero per primi i marocchini, da Trapani alla Ciociaria e la faccenda fu sottilmente malvagia.
Arrivavano per primi, stupravano, rubavano, poi gli uomini rintanati nelle campagne uscivano allo scoperto e davano loro la caccia con la lupara, facendo giustizia di fronte ad americani od inglesi che stavano a guardare.
I Russi, con le truppe della " seconda ondata" lasciarono nella Germania Orientale un segno non ancora rimarginato: "caricati" dai famosi articoli di Ilja Ehrenmburg infierirono con le giustificazioni della vendetta e della rappresaglia contro chi, secondo la logica perversa della responsabilità collettiva, aveva aperto le porte dell'inferno.
Ma lo stesso tragico, abbrutente errore, lo fecero i francesi in Algeria, gli americani in Vietnam fino all'orrore rivelato di My Li. Già allora si vide e si documentò che, quali che fossero le motivazioni, torture, uccisioni, riduzione a "paria" dei vinti, si trattava di attività che determinava o faceva emergere una buona dose di sadismo, si che il problema delle conseguenze e responsabilità, pur restando politico, diventava, spesso, un problema individuale.
Che razza di uomini ( e donne, purtroppo! ) sono, questi che, forti della tirannica onnipotenza del secondino, anziché garantire sicurezza e giustizia di trattamento alle persone loro affidate, infieriscono sui loro corpi?- Perché, da dove viene, in quale giardino cresce rigoglioso l' albero dai rami pesanti per il frutto avvelenato del sadismo, della violenza goduta come soddisfazione di una sessualità abnorme, documentata oggi dalle immagini di una giovane donna che ride felice sui corpi nudi e martoriati, a sgomentarci più della esibizione della sofferenza fisica provocata?.
Il numero dei casi fin qui rivelati è tale che appare impossibile parlare di casi individuali e pone un problema che va studiato e risolto. Dopo il Vietnam, una generazione di reduci annegò il ricordo di quel che aveva visto e di quel che aveva fatto nella droga. Ma tutto era accaduto nel corso di una guerra lunga, sporca, durissima, scarsamente motivata e di tanto si dovette tenere conto.
In Iracq, una guerra di pochi giorni, poco combattuta, connotata da una esasperante guerriglia, non può aver frammentato e scomposto le personalità dei soldati fino a tal punto. Allora è giocoforza ammettere che fattori esterni hanno contribuito al naufragio della persona umana nei casi in questione. Si dice che la martellante propaganda dei media, la demonizzazione del nemico, abbiano potentemente concorso. Può darsi, anche se è legittimo il dubbio che l'impatto morale dei media non sia così convincente come dicono.
Può darsi che questa guerra sia stata sentita come una guerra fra due culture inconciliabili e contrapposte ( l'Islam contro l'Occidente e viceversa ) e da ciò sarebbe scaturito il declassamento del nemico, visto, anche individualmente, non come una persona umana con pari dignità, ma come un "untermenschen", del quale si può fare quel che si vuole.
Può darsi , ancora, che i fatti iracheni siano la spia di un disagio generazionale, il frutto di una cultura della violenza quotidianamente esibita, nei cinema, nelle televisioni, nei giornali che, come la cattiva moneta, scaccia nelle coscienze individuali il bene della ragione e della umana solidarietà e si radica e si comprime, repressa in personalità represse, pronta a scattare ed esplodere se le circostanze la rendono impunibile.
Se c'è del vero in questa analisi, allora bisogna ammettere che un filo rosso lega i fatti iracheni alla pedofilia, alla prostituzione infantile, ai "paradisi sessuali" last minute, all'indifferenza di fronte alla sorte di milioni di bambini, maltrattati, affamati, comprati, venduti, stuprati nel corpo e nell'anima.
Mi sembra certo, in ogni caso, che le condotte individuali accertate in Iracq sono tali e tante che il tema qui proposto merita di essere approfondito e studiato e voglia il Cielo che dagli sudi non emerga la constatazione che certi fatti sono il sintomo di un progressivo declassamento culturale e morale della nostra 'civiltà occidentale'
Se così fosse, come accaduto tante volte nel passato, dovremo convincerci che è cominciata da tempo la parabola discendente di questa "civiltà", incapace di credere che l'Uomo può essere migliore di quel che è e, nell'immediato, che la Democrazia della quale si vuol far dono ai vinti, non è solo un sistema elettorale, ma un complesso di valori che fonde insieme Ragione e prassi, Giustizia e clemenza, libertà e tolleranza, rispetto per la persona umana, chiunque essa sia. Il che è anche l'unico modo per dimostrare coi fatti la superiorità rectius, il più avanzato stato- della nostra cultura.
Naturalmente, questo non significa che il tutto si riduca ad una somma di casi individuali . Vi sono, evidentissimi, problemi di carattere militare e politico gravidi di conseguenze negative, sui quali si sta interrogando l'America. Ma si tratta di problemi di diversa natura che vogliono un diverso approccio critico e non cancellano, né attenuano nemmeno una virgola nell'episodica di cui parliamo.
E' capitato di sentire, in una delle tante tavole rotonde televisive di questi giorni, l'affermazione che " la guerra c'è sempre stata e ci sarà sempre", con il suo corteo di orrori e leggo, oggi, su un giornale, che i fatti in questione fanno parte delle inevitabili conseguenze della guerra.
Questi maestri per ogni stagione tacciono, o forse ignorano, che, di fronte a fatti del genere, spesso nel passato, famosissimi generali reagirono con decimazioni, fucilazioni e tutti i rigori della giustizia prevostale al fine dichiarato di salvaguardare l'onore dell'esercito, la disciplina l'incolumità delle popolazioni sottomesse.
Sono comunque affermazioni gravi, concettualmente false e sbagliate, capaci di trarre in inganno, per la loro icasticità, l'ascoltatore sprovveduto. Lo scopo principale, il dovere morale di una umanità finalmente incivilita è quello di por fine a tutte le guerre. Raggiungere questo fine è perseverare nella Ragione, rivendicare la dignità umana e riconoscere e combattere l'intima ferinità.
Chi non ha una simile coscienza del progresso civile, se crede che la guerra è inabolibile, ce lo dimostri se può, oppure taccia perché opinioni del genere, se non dimostrate, sono solo propaganda a favore della guerra e grossolana dimenticanza dell'impegno che abbiamo preso con la Carta Costituzionale di ripudiare la guerra e non riconoscerla come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Che alle guerre siano connaturati abusi ed orrori di ogni specie è pure affermazione abbastanza insensata. Si può combattere e vincere una battaglia od una guerra e lo scopo del ricorso a quel mezzo estremo è raggiunto. Niente giustifica la persecuzione e l'umiliazione ulteriore dei vinti, cose che trasformano il soldato valoroso in un boia, disonorano la bandiera e innescano il circolo vizioso dell'odio, delle vendette e dei miti revanscisti.
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10/05/2004
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