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La difesa dal terrorismo internazionale tra cultura e polizia

| Conciliare le dure politiche di pubblica sicurezza con una intelligente integrazione fra civiltà appare l'unica modo per combattere il terrore che sta imprigionando il mondo

di Ettore Picardi

Ho sempre ritenuto gravemente inadeguata la guerra come risposta contro il terrorismo, in particolare la guerra preventiva che gli Stati Uniti ha utilizzato negli ultimi anni come principale strumento di contrasto alla strategia internazionale del terrore.

Questa opinione non nasce da un  pacifismo di maniera nè da particolare avversione agli americani nè tantomeno da simpatia ideologica verso il fondamentalismo islamico o qualcun'altra delle cause che scatenano i micidiali attentati di questi anni sconclusionati. Semplicemente mi sembra un errore strategico, come se si sparasse con il cannone alle zanzare allo scopo di combattere la malaria.

Intendiamoci: non credo che gli Stati Uniti siano l'impero del bene assoluto, non credo che l'Islam sia il motore di ogni male e violenza nel mondo, non mi piace la guerra comunque. Tuttavia il terrorismo, nazionale od internazionale, è la più vigliacca delle manifestazioni dell'uomo: un fenomeno che non deve mai essere sottovalutato, ma affrontato con decisione ed intelligenza, su cui non si può mai essere così superficiali da farsi condizionare da pregiudizi ideologici di qualunque specie. 

Per questo bisogna comprenderne le autentiche ragioni per poi combatterlo con i sistemi che davvero occorrono alla causa. Sistemi che dovranno necessariamente combinare sia interventi culturali che di pubblica sicurezza.
Soprattutto oggi che l'allarme è davvero chiaro e grave.
Per comprendere un fenomeno terroristico bisogna premettere che esso nasce sempre dalla disperazione dei perdenti. Chi usa il terrore indiscriminato ed imprevedibile non ha la capacità di imporsi politicamente e nemmeno con una organizzazione militare aperta, ovvero con i modi che la storia ha finora attribuito ai forti ed ai vincenti (che chiaramente sono cosa diversa dai buoni, ammesso che esistano).

Il terrorista con pochi mezzi, e soprattutto con il totale disprezzo delle regole del gioco e dell'umanità, riesce a minacciare gran parte del "nemico". Non sceglie le vittime, ma fa capire che tutti sono in pericolo,  anche se in concreto può fare del male solo ad una piccola percentuale di quella parte a lui avversa, che inevitabilmente coincide pressappoco col resto del mondo. Tanto piccolo è il gruppo eversivo tanto maggiore è il resto del mondo che si ritrova suo malgrado ad esserne nemico.

La prima operazione da compiere è culturale. Non bisogna far crescere alcun territorio morale intorno alla causa di un terrorista. Se il consenso che egli avrà sarà sempre limitato, lo spazio ideale e materiale in cui troverà riparo sarà la condivisione se non dei metodi sanguinari almeno delle ragioni della sua lotta disperata.

Pertanto la nostra società occidentale deve recuperare al massimo la sua coerenza e credibilità. Non si può pensare di occupare il mondo intero con i propri sistemi perchè migliori degli altri e poi di fatto peggiorare questo stesso mondo contribuendo a renderlo diseguale, violento, sporco, diviso.

L'antiamericanismo è spesso una questione di simpatia ed una forzatura ideologica. Tuttavia bisogna pur comprendere perchè sia così diffuso persino in Europa. L'autocritica per come l'occidente stia perdendo il senso dell'uomo in nome di quello degli affari deve essere convinta e generale, non solo la prerogativa di poco credibili cortei che danno l'impressione di fare da vetrina ad alcuni sfaccendati esibizionisti.

Ovviamente sarà importante un inversione culturale per rendere migliore nel pianeta il sentimento verso americani, europei ed australiani, i ricchi infedeli bersaglio della follia fondamentalista. Il cammino è lungo e complesso, richiede obiettività e serenità, anche se non si deve perdere altro tempo per intraprenderlo.

Oggi si deve però lavorare decisamente sull'ordine pubblico, la polizia, la cooperazione internazionale della pubblica sicurezza. Questo è il campo su cui debbono essere prevenuti gli attentati e perseguiti i criminali.

Ogni sistema debole (ed il nostro giudiziario lo è senz'altro) è un pericoloso riparo per il terrorismo, i suoi progetti ed i suoi crimini. Si tratta in realtà di un problema più tecnico che politico, capire come annichilire gli attuali sistemi e metodi adottati dai criminali. Bisogna agire in un contesto nuovo, dove le frontiere sono aperte, le comunicazioni istantanee, la disperazione e la disumanità al massimo.

L'impresa richiede che gli Stati siano concordi e determinati nei protocolli di sicurezza e negli scambi di informazioni. Bisogna anche trovare il punto di equilibrio fra integrazioni etniche ed interventi di prevenzione, quello che rappresenta il nervo scoperto, dove va evitato il razzismo ma creato un serio meccanismo di difesa da inserimenti terroristici dall'esterno.

In questi giorni è stato pubblicato "La Forza e la Ragione" il nuovo lavoro di Oriana Fallaci, la maggiore scrittice italiana contemporanea. Ne abbiamo letto significative anticipazioni. Si tratta di scritti stilisticamente spietati, sinceri, colti, intriganti. Tuttavia il messaggio unico che salta da ogni riga si legge è l'invito a combattere l'Islam, male cronico ed assoluto nel mondo.

Le parole qui sono armi esplodenti, violente e miopi nella prospettiva futura oltre che nella memoria storica. Chi ha ad esempio responsabilità per l'invenzione e l'uso dell'atomica e delle armi di steminio, la seconda guerra mondiale (la più grande strage della storia), lo sterminio dei nativi americani, la tratta degli schiavi? Forse gli arabi o gli islamici? Ricordiamo anche le nostre colpe non solo quelle degli altri, altrimenti non saremo mai credibili.

La guerra preventiva non ha combattuto il terrorismo, che non ha eserciti, accampamenti, edifici. Non sta da nessuna parte pur essendo dovunque. La guerra ha destituito qualche tiranno, probabilmente colluso con le più spietate organizzazioni, ma ha devastato la gente comune di quelle nazioni e quindi ha alimentato il dolore, l'odio, l'orrore: ha creato nuovi territori al terrorismo ed arruolato nuovi disperati alla causa che aveva creduto di azzerare.

L'opposto di quello che invece bisognava fare: rendere migliore il rapporto fra le diverse civiltà esistenti e stanare in modo mirato ed implacabile gli assassini. Non è per niente facile, ma io credo che sia l'unica, obbligata strada che il terrorismo ci costringe a percorrere per difendere le nostre vite ed il nostro vivere.

06/04/2004





        
  



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