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Altro che sQuola!

| La giocosa sopraelevazione dell'Istituto Alberghiero, ex Media Gabrielli per capirci.

di Piero Camaioni(detto Giorgio)

Con l'edilizia immusonita che lo circonda, man mano che avanzano i lavori, si stenta ad immaginare come le bizzarre ma fresche diagonali svettanti potranno racchiudere tanta volumetria per le nuove aule, cucine, biblioteche, servizi ed altro ancora.

A San Benedetto le scuole si vendono. Oppure – brutte come sono – si uccidono con estenuanti quanto orridi interventi di restauro. Le ritengono indegne di diventare antiche: forse per le loro architetture moderne-nate-già-vecchie, spesso solo contenitori di tristezza, di litigi, di ore, di esami. Di tempo prezioso ma sprecato.

Probabilmente anche a questo modesto Alberghiero avevano destinato un ampliamento prevedibile, insulso ed impersonale. Tanto per farlo: lui, pur ingrassato di due piani, non avrebbe perso l'aspetto di mini policlinico o di sinistro scatolotto burocratico.

La progettazione sarebbe toccata ad un coscienzioso geometra - come per via Montebello -  che si sarebbe ispirato ai bravi Architetti che meticciano gli stili più malefici.

Forse i balcononi tipo Jolly no, ma un paio di sgraziati timpanacci ellenici con tanto di ovale barocco non ce li avrebbe tolti nessuno.

Come pure una cancellata fiorata rococò finto ferro battuto, l'infilata di vetrate a specchio zozze domani come quelle del Comune, il tutto rosa-giallo-violetto-verde acido, come case Gescal intossicate di Viagra. Facile sarebbe stato ordinare in quantità industriali cemento, alluminio, sanitari, mattonelle, mattoncini.

Quindi impastare, montare, sovrapporre (magari a casaccio, come in via Mentana). Infine inaugurare (sempre a ridosso di qualche votazione), con contrattuale banda e plotone politico (con Colonnella? Certo).

Invece San Benedetto, ormai architettonicamente ripugnante come una città cinese, riceve una immeritata botta di culo: un ingegnere di Martinsicuro per poco tempo abitante del Comune – di sponda, quasi fortuitamente -  si becca l'incarico della sopraelevazione. E, testardo, la fa nel suo stile "virale" come pare a lui, come andiamo vedendo noi.
Già sbandiamo, ma ci farà bene.

L'estetica: una sorta di "Art of Rebellion". Sapori d'infanzia per me, quando negli slarghi di via Sabotino, scapperecci dalla Moretti o dall'Avviamento, giocavamo a rizzar capanni razziando lamiere-grondaie-cartoni-compensati. Li piegavamo sbragandoci le mani.

Distruggendo forbici e dita per tagliarli. Avvolgendo rugginosi fil di ferro per unirli. Rubando fondi di vernice dal carrozziere per dargli la nostra impronta (mai colori "normali"). Li difendevamo con furiose lotte da bande nemiche e genitori spazientiti ma alla fine gli davamo fuoco, per cominciarne subito altri con più slancio ed "esperienza"…

Di queste corali faticate fabbricazioni non esiste una foto né un disegno.

Non me le avesse con questa sopraelevazione evocate Vincenzo (il progettista, n.d.r.), le avrei dimenticate.
 
Visitando il cantiere – è come se mi infilassi in un "nostro" capanno enormemente dilatato – forse intimidita, subito l'immaginazione schizza libera ed accelerata: l'interno (le viscere) di questo "corpo" vagamente scandinavo, senza vincoli né barriere (solo vertebre metalliche), ti corregge scorci e visuali, ti spinge altre luci e ombre da ogni lato fino a piegarti lo sguardo come in selve di specchi, deformandoti le prospettive come nei sogni…

Più della differenza tra una piatta fotografia e un film.

Angoli a 90 gradi impossibili come tra stelle, tanto che scopri allineamenti sconosciuti, rette (rotte) inconsuete tra uno spazio e l'altro.
 
Roba che qua dentro si inventeranno pensieri migliori, si ripuliranno parole, si intravedranno soluzioni nascoste o migliori ai problemi…
 (Non succedeva una volta nelle scuole?)
 
 Però il pensionato vagante (preoccupato) mormora che quell'"astronave" gli pare troppo pesante posata su un "marciapiede" pur alto dieci metri. In realtà il vecchio Alberghiero alias ex Media Gabrielli neanche la sente: in testa niente cemento, niente mattoni, niente blocchi di marmo.

Del resto anche noi ragazzi, prima che ci vietassero la modernità, mai usavamo quella roba per i capanni. Non correvamo rischi.
 
La stessa luccicante pelle a quadrotti d'argento, stesa sopra una simil-muscolatura di abete austriaco, non si staccherà al caldo d'agosto, e neanche quella color verde-Marte e tinta carruba. Resisterà mille anni (è rame stabilizzato, mi dice Enzo).
 
Duemiladuecento metri quadri realmente tecnologici.
Ma sarebbero tanti – e non sarei adesso in grado – i numeri da citare, come gli aspetti progettuali inediti da svelare. Tutte cose però che presto conosceremo, anche perché di questa opera ingegneristica ed artistica non mancheranno gli echi sulla stampa internazionale.

Quel che più importa è che a Maggio non ci ritroveremo "solo" una scuola in qualche modo ampliata e ristrutturata, ma un "luogo del futuro" che produrrà cervelli nuovi rigenerando anche quelli vecchi.
 
 Certo non piacerà a tutti.  

Passeggiassero sotto ai Licei…

25/03/2004





        
  



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