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Una città ferita e non basta dire che è solo calcio.

| Gino Troli non riesce a stare zitto sulla parteza di Scandurra e Zerbini, che ha smembrato la Samb.

di Gino Troli

Erano anni che non scrivevo di calcio. Nel mio passato, pieno di tante cose, c'è stato un tempo in cui scrivevo di Samb. In quella mitica esperienza condotta dal mai dimenticato Sabatino D'angelo (cosa direbbe oggi di questa città ferita calcisticamente?) nel FORZA SAMB in cui scrivevamo in tanti e vivevamo ogni domenica la dimensione dell'appartenenza a qualcosa di straordinario, " il miracolo Samb", una squadra che attraverso la magica fusione di pubblico innamorato, dirigenti capaci, calciatori bandiera era riuscita a raggiungere obiettivi importante e a lasciare profonde tracce nel calcio italiano.

Ecco lì, su Forza Samb a scrivere ed in cima ai palazzi con Bergamaschi ed altri a fare le radiocronache nel 1975 quando le radio "libere" non potevano accedere ai campi e a Radio 102 si facevano le radiocronache dai palazzi vicini ai campi. Sì tempi mitici, indimenticabili, ma oggi, si dice, il calcio è un'altra cosa.
Sarà pure un'altra cosa, ma in questi giorni quello che è accaduto va oltre la dimensione calcistica, non si può assistere in silenzio allo spettacolo di svuotamento del senso del calcio e dell'orgoglio di una città.

Io non ricordo, a mia memoria, possono soccorrermi i grandi esperti di statistiche e di ricordi come l'amico Pino Perotti, episodi di così insensato accanimento contro una città calcistica come quello che ha privato in una settimana la Sambenedettese di due attaccanti che avevano fatto riscoprire alla città il sapore dei gol veri, quello che avevamo dimenticato.

Il rapporto che il pubblico instaura con i propri giocatori nel corso di un campionato è qualcosa di importante, è soprattutto un processo di identificazione per cui può accadere che, un calciatore proveniente dal campionato dilettanti ed un altro abbastanza anonimo in una serie superiore, trovino in un contesto come quello sambenedettese gli stimoli per affermarsi, direi per sposarsi ad una città ed al suo pubblico.

Il merito sicuramente è di quei calciatori che hanno manifestato doti che indubbiamente possedevano, ma è anche di un pubblico speciale che assicura la presenza di 5000 persone anche di fronte agli schiaffi più insopportabili. Allora, e questo vuole essere un ragionamento che vorrei tentare, questo miracoloso pubblico che non cede mai, che non abbandona mai la propria squadra, non merita nessun rispetto?

E dire che la sua parte l'ha sempre fatta assicurando incassi, avendo fede nella rinascita quando nessuno l'avrebbe avuta, seguendo la squadra nelle trasferte più lontane, diventando tutt'uno con la squadra in campo, sempre.

Nella valorizzazione di un calciatore conta anche l'ambiente. Quanti calciatori sono stati ricostruiti a San Benedetto o letteralmente scoperti qui dopo fallimenti in altre piazze? Quanto ha contribuito il clima di questa città a dare a Scandurra e Zerbini l'opportunità di mettere in mostra le loro doti?

Io credo molto perché credo ancora che il calcio mantenga alcuni presupposti di attaccamento e di rispetto che non bisognerebbe abbandonare.... Invece è accaduto  che nulla ha contato. Una squadra smembrata, due giovani che potevano concludere un campionato di C con grandi risultati e con risvolti finanziari per la società mandati a Perugia non si sa con quali prospettive, una città impotente che guarda attonita la fine di un sogno.

Non aggiungo altro. Solo che tutto ciò, sulla pelle e nello spirito, mi appare ingiusto, assurdo e gratuito e io non posso stare zitto.

08/01/2004





        
  



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