Satira, invettiva, maldicenza.
| La satira vista da "emme"
di emme
Si è fatto un gran vociare, negli ultimi tempi, intorno alla Satira, specie da quando gli epigoni dei vecchi cabarettisti tengono banco sugli schermi televisivi, fin quando non ne vengono scacciati d'autorità.
Si dice che la Satira politica sia compagna della Libertà, ma questo assioma è lungi dall'essere dimostrato. In realtà, storicamente, la Satira si accompagna a periodi nei quali la fiaccola libertaria è ridotta ad un lumicino e il Potere consente che non si spenga per illudere che la Libertà sopravviva. Non è un caso che ogni tiranno abbia sempre accanto un buffone, anche se non sempre si chiama Yorick E' anche vero, però che, nella Satira, per non dimenticare e preparare tempi migliori, si esprime ogni Società ingannata ed oppressa.
La Satira politica è solo una faccia del genere ed è difficile, da quella sola, trarre definizioni. La Satira non ha confini. Si applica a qualunque condotta umana che sia o paia contraria al comune sentire, alle regole accettate, a quello che in un dato momento storico, viene inteso come l'<honeste vivere> ( vale a dire, vivere con onestà d'intenti, moderazione, tolleranza, secondo giustizia, guardare ai peccati propri più che a quelli degli altri, neminem ledere etc.etc.). Tale essendo la sua natura e la sua finalità ( < castigat ridendo mores!>), si rivolge contro i singoli soltanto quando questi, per ricchezza, potere, straordinario seguito, malgoverno di autorevolezza ed altro, si pongono paradigmaticamente a fronte e contro il corpo sociale, il costume, la morale corrente.
La Satira ad personam è eccezionale, dunque. < Vs. Eccellenza che mi sta in cagnesco > non è il soggetto della famosa satira, come non lo è quel Vito fatto barone per la sua arte di gelataio, come, nel " libro terribile" della stessa penna leopardiana, non lo è quel prode Rubatocchi che < cadde e il ciel non se accorse> e che invano si cercherebbe di identificare con una persona storicamente reale.
Contro le persone stanno, lontanissimi dalla Satira ( ma spesso per Satira gabellati da abili istrioni), l'invettiva, l'insulto, il giudizio sommario, la violazione della sfera di riservatezza altrui, le calunnie ( oggi <gossip>, ieri < calunnicula>, nella prosa ciceroniana, utili in Tribunale e nel Foro, ma pure sempre < calunnicula>). Tutte cose riprovevoli, che talora hanno una giustificazione nella necessità retorica, dalle quali, facilmente, si scivola nella < maldicenza>.
Questa, abbondantemente rappresentata dal quotidiano conversare e da giornali e rotocalchi che vanno a ruba, viola ogni riservatezza, offende persone ignare ed indifese, inventa malvagità e ruba onore e prestigio a tutti. Primi fra tutti, a perdere onore, considerazione e rispetto, quelli che ne fanno uso, vuoi per placare l'astio delle proprie frustrazioni, l'invidia, la bieca soddisfazione di umiliare chi appare migliore, vuoi per screditare un concorrente in tempo di elezioni, vuoi perché convinti di avere una penna più graffiante di quella di Marziale, più elegante di quella dell'ultimo Boccaccio, più dolce ed essenziale di quella di Parini, più mordace di quella del Giusti , più violenta di quella del Carducci dei Giambi e degli Epodi, vuoi perché, affetti da carenze scolastiche, confondono l'umorismo, la battuta salace o presunta tale, l'insulto mascherato, l'accusa indimostrata con la nobile Satira.
Questa critica formale è tuttavia insufficiente. Come tutti sanno, la motivazione della satira è l'Indignazione, un sentimento che, come la <lacrimuccia> dantesca salva l'anima agli uomini retti ma inerti. Dove non c'è Indignazione, non c'è Satira. E, per essere <indignati>, occorre credere fermamente di essere dalla parte giusta ed avere occhi per vedere e cuore per sentire. E' questa la condizione della vera Satira, nella quale è sempre evidente il perché ed il modo della contraddizione fra ciò che è e ciò che dovrebbe essere e nella quale, di conseguenza, si riconoscono tutti.
Se così non fosse, nessuno leggerebbe i Pensieri di Bayle, l'opera di Swift, il poema ariostesco, Candido, il Giorno, i Paralipomeni, , il Brindisi di Girella, "1994" e via dicendo fin verso la metà del secolo testé decorso, non oltre, poiché poi la satira muore o si nasconde nelle trame di romanzi e romanzetti.- E' curioso che uno dei nostri moderni giullari comunichi oggi da un quotidiano che , lui, fa Satira " perché diverte e si diverte" tirando subito dopo in ballo il bene supremo della Libertà. Mah!
sarà un nuovo genere di Satira, oppure avrà fatto confusione fra i campanelli del giullare ed i severi abiti neri del reverendo Swift intento a scrivere la modesta proposta"...
Resta a dire che la Satira è espressione di uomini onesti o, quando non lo siano, di uomini pienamente consapevoli dei propri peccati. I mascalzoni non si indignano mai. Per essere obbiettivo, ammetterò tuttavia, che c'è gloria anche nella maldicenza e nella calunnia. Ne fa fede la fama di quel < poeta tosco/ ( che) di tutti disse mal/ fuorché di Cristo/, scusandosi col dir /" Non lo conosco".>. Però, attenzione!, quello era uno, infrequentabile quanto volete, ma che, quando scriveva, in italiano od in latino, faceva meraviglie. Il che, purtroppo, non è da tutti.
Si può scrivere per divertire e ognuno è libero di far meglio di Mark Twin e far mangiare la polvere al Circolo Picwick, ai Tre Uomini in Barca e all'impeccabile Jeeves. L'importante , in tal caso, è che gli sia chiaro che fa dell'Umorismo, punto e basta. Un aiutino gli può venire da un certo D'Annunzio Gabriele, che, se non sbaglio, esordì proprio con un saggio sull'umorismo. Se, invece, vuol scrivere Satire o prose satiriche, liberissimo, purché abbia una statura morale adeguata e conosca a fondo le cose di cui scrive. Limitarsi, sia pure in bella o supposta arguta prosa, a condannare, giudicare, inveire, avvilire persone e cose è tutt'altra e non commendevole faccenda.
Mi dice una mia amica, a questo punto, che sto scrivendo un pezzo da " bacchettoni" e che il pubblico sa quel che vuole. Già: Orazio non ottenne mai, ai suoi tempi, il consenso di popolo riservato a mimi ed istrioni, bravi fin che si vuole, ma sempre istrioni, talquali quelli che impazzano sui video, dicono di far della satira e spesso non fanno altro che caricature come gli antichi buffoni, o, peggio, traggono a pretesto la libertà di satireggiare per spargere calunnie e distribuire insulti
E' vero e si capisce perché. La gente ( il "vulgo profano" odiato da Orazio e da lui tenuto lontano), vuole divertirsi, sentirsi superiore alla vittima della maldicenza, trar godimento dalle corna altrui, esultare alle crepe che vox populi ( ma a chi mai sarà venuto in mente che sia vox Dei?! ) apre nella integrità delle persone, emulare i virtuosi del " qui lo dico, qui lo nego", ma non vuole riconoscersi nello specchio di volgarità, ipocrisia, arroganza, incultura, immoralità, sfrontato esibizionismo che la Satira gli regge davanti al volto. Soprattutto, non vuole pensare e far pensare. La Satira, che fustiga gli usi, i comportamenti, le condotte, mai le persone, a meno che non si pongano ad esempio alla società, fa faticosamente pensare. E tutti sanno che sono felici e ordinate quelle società nelle quali la fatica di pensare se l'accolla uno solo.
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24/01/2004
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