Il crocifisso e tutta la confusione del nostro tempo
| La recente polemica sul crocifisso vietato e tutte le indeguatezze che ha rivelato: un'opinione giuridica e non solo.
di Ettore Picardi
La nostra attualità vive sempre di tumultuose polemiche sull'onda dell'argomento del giorno. Diventa difficile sottrarsi ad un commento su quello di cui tutti parlano, anche per chi non condivide questa forma esasperata di consumismo giornalistico e mediatico. Pertanto anche chi scrive sente comunque l'urgenza di dover commentare la vicenda del crocifisso vietato nella scuola in base ad un'ordinanza del Tribunale di L'Aquila.
In primo luogo appare davvero negativa l'interferenza tra poteri dello Stato che si manifesta in maniera sempre più incontrollata e frequente. Nel merito il provvedimento che ordina la rimozione del crocifisso dalla scuola appare una invasione del potere giudiziario attraverso scelte demandate al potere legislativo ed al potere esecutivo: un giudice può e deve ordinare comportamenti che ripristino una legalità violata, non può stabilire se una legge sia giusto ed opportuna, né imporre scelte discrezionali alla pubblica amministrazione.
Ovviamente una norma che contrasti con la Costituzione ed i suoi principi sarà mandata al vaglio della Corte Costituzionale che ha poteri di raccordo tra la giurisdizione e la legislazione, avendo la Consultà la facoltà di depurare l'ordinamento dalla presenza di leggi ingiuste ed irrazionali. Il singolo giudice però non può mai fare ciò. Inoltre dire ad una pubblica amministrazione cosa fare, cioè non esporre un simbolo religioso, che per norma di legge ed anche costume e consuetudine è previsto, esula chiaramente dal potere conferito alla giursdizione ordinaria. Tantomeno se si tratta di un provvedimento di urgenza, emesso rapidamente per scongiurare pericoli nel ritardo che nella fattispecie non è dato comprendere dove siano.
Molti tra i commenti critici (che sono stati quasi unanimi) hanno posto l'accento sull'inopportunità di tale decisione, che fomenterebbe intolleranza e diffidenza tra popoli e religioni. In realtà queste osservazioni, per quanto condivisibili, dimenticano che il Tribunale ha commesso un errore ancor più a monte, invadendo, come già detto, un campo non proprio. L'opportunità politica della decisione non può essere contestata a chi scelte politiche non può e non deve fare.
Contemporaneamente ed in modo fulmineo è partita un'inchiesta ministeriale sul giudice, come spesso accade in questi tempi difficili per la giustizia. Tale iniziativa rappresenta un'invasione di campo criticabile proprio come quella che pretende di sanzionare. Infatti se un giudice sbaglia non è l'apparato ministeriale, ovvero una porzione del potere esecutivo, a doverlo stabilire: esistono rimedi interni. Innanzitutto nella fattispecie in questione bisognerà aspettare il provvedimento collegiale definitivo ed eventulamente tutti i gradi di impugnazione previsti fino al passaggio in giudicato della sentenza. Infatti se un provvedimento si può criticare legittimamente, non può mai essere un potere disciplinare a far pressione sul magistrato per indurlo magari a decisioni gradite a livello ministeriale.
Correttezza istituzionale vorrebbe che ogni valutazione sul comportamento professionale dei giudici non si presenti come uno strumento di pressione. Bisogna garantire la libertà di decisione anche a costo di accettare gli errori dei Tribunali: errori che sarebbero certamente di più se tale libertà fosse compromessa.
Ovviamente chi tra i magistrati avrà sbagliato in modo ingiustificabile sarà censurabile in sede disciplinare, ma solo quando sarà chiara la sua condotta e non sarà in tal modo resa coercibile una sua decisione. Il provvedimento qui criticato ha comunque una sua ampia e dotta motivazione e non deve essere sottratto, anche se non piace quasi a nessuno (scrivente compreso), alla normale dialettica processuale. Per la quale non conta la maggioranza ma la legalità. Per la quale la ragione può appartenere anche a chi rappresenta l'uno per mille dell'opinione pubblica, proprio perchè la giurisdizione non è come la politica, legata alla forza dei più.
In conclusione due considerazioni non giuridiche. Davvero è augurabile che le manifestazioni di libertà di pensiero e religione debbano portare alla tolleranza ed alla convivenza di forme e simboli, con la sola eccezione di quelli che istighino all'odio ed alla violenza, cioè limitando e non sviluppando quindi le libertà personali. Pertanto non si comprende come l'integrazione ed il rispetto tra popoli e religioni possa arrivare attraverso divieti e preclusioni privi di significato.
Infine il crocifisso: averlo messo in discussione ha suscitato una veemente reazione del popolo italiano, ricompattattosi intorno alla propria religione ed al suo segno principale. Certamente i simboli sono importanti rappresentando la forma di una fede e di un sentire, necessaria per la memoria degli uomini in un mondo complesso. Però si avverte un forte suono di ipocrisia per un popolo che abitualmente non difende la sostanza del suo cristianesimo, non prega e non si dichiara credente in pubblico, non fa le sue scelte secondo i dettami della sua religione, nasconde o ignora e talvolta deride l'opinione della propria Chiesa.
Insomma guai a chi ci tocca il crocifisso, tanto tenerlo lassù non è faticoso come farne un reale punto di riferimento.
In primo luogo appare davvero negativa l'interferenza tra poteri dello Stato che si manifesta in maniera sempre più incontrollata e frequente. Nel merito il provvedimento che ordina la rimozione del crocifisso dalla scuola appare una invasione del potere giudiziario attraverso scelte demandate al potere legislativo ed al potere esecutivo: un giudice può e deve ordinare comportamenti che ripristino una legalità violata, non può stabilire se una legge sia giusto ed opportuna, né imporre scelte discrezionali alla pubblica amministrazione.
Ovviamente una norma che contrasti con la Costituzione ed i suoi principi sarà mandata al vaglio della Corte Costituzionale che ha poteri di raccordo tra la giurisdizione e la legislazione, avendo la Consultà la facoltà di depurare l'ordinamento dalla presenza di leggi ingiuste ed irrazionali. Il singolo giudice però non può mai fare ciò. Inoltre dire ad una pubblica amministrazione cosa fare, cioè non esporre un simbolo religioso, che per norma di legge ed anche costume e consuetudine è previsto, esula chiaramente dal potere conferito alla giursdizione ordinaria. Tantomeno se si tratta di un provvedimento di urgenza, emesso rapidamente per scongiurare pericoli nel ritardo che nella fattispecie non è dato comprendere dove siano.
Molti tra i commenti critici (che sono stati quasi unanimi) hanno posto l'accento sull'inopportunità di tale decisione, che fomenterebbe intolleranza e diffidenza tra popoli e religioni. In realtà queste osservazioni, per quanto condivisibili, dimenticano che il Tribunale ha commesso un errore ancor più a monte, invadendo, come già detto, un campo non proprio. L'opportunità politica della decisione non può essere contestata a chi scelte politiche non può e non deve fare.
Contemporaneamente ed in modo fulmineo è partita un'inchiesta ministeriale sul giudice, come spesso accade in questi tempi difficili per la giustizia. Tale iniziativa rappresenta un'invasione di campo criticabile proprio come quella che pretende di sanzionare. Infatti se un giudice sbaglia non è l'apparato ministeriale, ovvero una porzione del potere esecutivo, a doverlo stabilire: esistono rimedi interni. Innanzitutto nella fattispecie in questione bisognerà aspettare il provvedimento collegiale definitivo ed eventulamente tutti i gradi di impugnazione previsti fino al passaggio in giudicato della sentenza. Infatti se un provvedimento si può criticare legittimamente, non può mai essere un potere disciplinare a far pressione sul magistrato per indurlo magari a decisioni gradite a livello ministeriale.
Correttezza istituzionale vorrebbe che ogni valutazione sul comportamento professionale dei giudici non si presenti come uno strumento di pressione. Bisogna garantire la libertà di decisione anche a costo di accettare gli errori dei Tribunali: errori che sarebbero certamente di più se tale libertà fosse compromessa.
Ovviamente chi tra i magistrati avrà sbagliato in modo ingiustificabile sarà censurabile in sede disciplinare, ma solo quando sarà chiara la sua condotta e non sarà in tal modo resa coercibile una sua decisione. Il provvedimento qui criticato ha comunque una sua ampia e dotta motivazione e non deve essere sottratto, anche se non piace quasi a nessuno (scrivente compreso), alla normale dialettica processuale. Per la quale non conta la maggioranza ma la legalità. Per la quale la ragione può appartenere anche a chi rappresenta l'uno per mille dell'opinione pubblica, proprio perchè la giurisdizione non è come la politica, legata alla forza dei più.
In conclusione due considerazioni non giuridiche. Davvero è augurabile che le manifestazioni di libertà di pensiero e religione debbano portare alla tolleranza ed alla convivenza di forme e simboli, con la sola eccezione di quelli che istighino all'odio ed alla violenza, cioè limitando e non sviluppando quindi le libertà personali. Pertanto non si comprende come l'integrazione ed il rispetto tra popoli e religioni possa arrivare attraverso divieti e preclusioni privi di significato.
Infine il crocifisso: averlo messo in discussione ha suscitato una veemente reazione del popolo italiano, ricompattattosi intorno alla propria religione ed al suo segno principale. Certamente i simboli sono importanti rappresentando la forma di una fede e di un sentire, necessaria per la memoria degli uomini in un mondo complesso. Però si avverte un forte suono di ipocrisia per un popolo che abitualmente non difende la sostanza del suo cristianesimo, non prega e non si dichiara credente in pubblico, non fa le sue scelte secondo i dettami della sua religione, nasconde o ignora e talvolta deride l'opinione della propria Chiesa.
Insomma guai a chi ci tocca il crocifisso, tanto tenerlo lassù non è faticoso come farne un reale punto di riferimento.
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29/10/2003
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