Quant'è bella giovinezza
| La qualità della nostra vita da vecchi
di Tonino Armata
Si parla spesso dei giovani, poco e solo in occasioni tragiche, degli anziani (a me da fastidio chiamarli vecchi). L'estate sarà ricordata come quella che ha fatto strage d'anziani uccisi dal caldo. Ma più uccisi dalla solitudine, per abbandono, e che Claudio Baglioni cantava più di vent'anni fa: "I vecchi tosse secca che non dormono di notte / seduti in pizzo al letto a riposare la stanchezza / si mangiano i sospiri e un po' di mele cotte
".
E ci sono anziani accomunati dallo stesso umano destino, poveri e ricchi, compresi i geni. Nel suo "Gli ultimi giorni di Immanuel Kant" Thomas De Quincey raccconta il declino obbrobrioso di uno dei più luminosi intelletti che abbiano onorato l'umanità, l'immenso filosofo ridotto a pisciarsi addosso e a vagare smemorato per stanze che non sapeva più riconoscere. Quando diciamo che l'età media della vita s'è molto allungata bisognerebbe anche aggiungere in che modo e a quali condizioni questo è avvenuto. Anziani ridotti a vuoti involucri di ciò che un giorno è stato un essere umano pieno di spirito, desideri, ambizioni allegria.
La vecchiaia è come una muraglia che ci separa dal resto dell'umanità e si fa a mano a mano più alta: ogni anno che passa è un'altra fila di mattoni che ad essa si sovrappone. Con questi giovani si vorrebbe parlare anche attraverso il muro, magari bussando con le nocche o coi pugni al modo dei carcerati. Ma costoro non odono o non ascoltano, ghignano, contano le fila dei mattoni e sono capaci di rinfacciartele. La gioventù non osa guardarsi nello specchio della coscienza, quando inclina dalla parte dell'ingiustizia, mentre l'età matura vi si è vista: qui sta tutta la differenza fra queste due età della vita.
Per fare onore agli anziani ho raccolto più di sessanta poesie (da Mimmermo sec VII - VI a.C. a Dario Bellezza) dedicate alla "giovinezza", i versi di Mimemmo hanno un sapore veramente jettatorio. "Noi siamo foglie, foglie viventi nel tempo dei fiori,/ a primavera, quando spuntano in strali di sole;/ per noi, come foglie, è un pugno di ore la festa/ della vita che sboccia. Bene e male non sono/ che strano mistero. Nere Streghe diventano poi/ la tua ombra: una porta il declino grigio, amaro;/ l'altra morte. E' una scheggia la primizia/ dell'età in fiore, uno sprazzo di sole sul mondo./ tu varca la soglia di questa stagione/ e rapida morte è meglio d'esistere".
Siamo onesti: oggi pochi sarebbero disposti a barattare i disagi della vecchiaia con una prematura dipartita. E per capire a fondo la lirica di Mimemmo, più che gli slanci dell'emozione estetica servono le fredde ragioni della storia. Invecchiare nel mondo antico, significava affrontare senza rimedi la decadenza fisiologica. Medicina e chirurgia (basterebbe pensare - impoeticamente - a oculisti e dentisti) muovevano i primi passi incerti. Sebbene rispettati dalla comunità quali detentori di saggezza ed esperienza, gli anziani vivevano in completa balia delle miserie infinite del corpo. Morire nel pieno fulgore della vitalità, davvero, come scriveva Mimemmo, poteva sembrare provvidenziale.
Sarà pure una visione tardomarxisiana, ma le strutture materiali, il cosiddetto "progresso", influiscono anche sull'ispirazione delle Muse. Col passare dei secoli e il migliorare delle condizioni di vita, i sentimenti mutano. Lentamente, ma mutano. Alla disperazione si sostituisce il rimpianto (soprattutto degli amori perduti: sono quelli, assai più della perduta elasticità cutanea, a ferire il cuore dei vecchi poeti). Al rimpianto subentra la rassegnazione. E alla rassegnazione un pizzico di compiacimento per la maturità raggiunta, con i vantaggi (pochi, eppure non trascurabili) che essa comporta.
Resta intatta - paradossalmente ma non troppo - la nostalgia per la prima adolescenza, la proto giovinezza del ragazzo e addirittura del bambino. Bisogna, con un certo imbarazzo, dar ragione al lacrimoso Pascoli: l'avanzare dell'età non soffoca il "fanciullino" che è in noi, con i suoi stupori, i suoi furori, la sua ingenua e gioiosa animalità. Forse, invece dei mitici vent'anni, è quella la giovinezza vera. La giovinezza inconsapevole di sé, che non si chiede se durerà per sempre. Quella che non scrive poesie, ma le vive.
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02/10/2003
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