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Toghe rosse o politici corrotti? Forse democrazia perduta

| Gli incroci tra giustizia e politica sono inevitabili, ma quello che davvero si è smarrito è il senso comune dello Stato

di Ettore Picardi

Magistrati che fanno politica o politici che cercano di sottrarsi alla giustizia? Qual'è la verità? Chi ha colpa per il conflitto aspro creatosi tra i poteri dello Stato?

In realtà va subito premesso che i poteri astratti, che hanno il medesimo scopo fondamentale, non possono essere logicamente in lite tra loro, mentre ben possono esserlo le persone fisiche che li rappresentano. Per la natura e la complessità delle loro relazioni, in verità, la giustizia e la politica debbono inevitabilmente incrociarsi in molteplici circostanze. Infatti i magistrati debbono trattare come cittadini comuni i politici, e quindi indagarli e giudicarli secondo giustizia: non possono non farlo. Contemporaneamente i politici debbono scegliere quale tipo di servizio giustizia fornire al Paese, ovvero quali obiettivi porsi e quali risorse e strumenti destinare al settore. Perciò debbono legiferare in materia di giurisdizione e non di rado.

Nessun problema o pericolo di conflitti vi sarebbe se ciascuno rimanesse strettamente osservante delle proprie prerogative, come indicate da tutti i grandi studiosi del diritto e finalmente dalla Costituzione Italiana. La realtà è però fatta di uomini e non di teoremi. Gli uomini sono quelli che se fanno i giudici possono subire la debolezza delle passioni, delle ideologie, del proprio bagaglio culturale: peggio del proprio bagaglio umorale. Nella stessa comunità ci sono i governanti, che chiamiamo genericamente politici, a volte con le loro botteghe, clienti, storie ed interessi personali: peggio i propri intrighi loschi e privati.

In un mondo perfetto Montesquieu, il filosofodella separazione fra i tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario), sarebbe stato il notaio di un ideale già incarnato e vissuto. Nel nostro mondo reale bisogna fare i conti con le debolezze delle persone. Per questi motivi esistono equilibri costituzionali tra le istituzioni, per impedire che i magistrati ed i politici escano dai loro ruoli ed impongano le proprie personalità. Per questi motivi esistono dei meccanismi di tutela della indipendenza ed autonomia della magistratura, che prevengono possibili condizionamenti governativi su chi giudica i casi concreti. Per questi motivi esistono divieti per i magistrati che non possono far parte di partiti politici o giudicare persone a loro strettamente legate.

Più alto è il senso dello Stato nella cultura di un popolo, maggiore sarà il rispetto delle reciproche attribuzioni. In Finlandia si è recentemente dimessa la signora "premier" per una moderata bugia detta sulla propria conoscenza di un dossier che descriveva i rapporti del precedente governo con  il Presidente americano Bush. In Italia è desolatamente basso il senso del proprio onore politico, della parola data, del valore delle promesse pubbliche. Coerentemente è misero, a maggior ragione, il senso del rispetto del limite funzionale dei propri poteri. Quello per cui ognuno deve fare quello che deve e può secondo le regole e l'interesse generale.

Ha senso capire se in Italia la colpa della crisi di rapporto è delle presunte toghe rosse o di politici che forse hanno commesso reati e cercano di sottrarsi alla legge, approfittando della loro Autorità? No, non serve a nulla. Infatti è necessario ogni volta valutare il caso concreto, il singolo comportamento, il singolo processo. La verità e la giustizia non stanno sempre a destra o sinistra, tra i giudici o tra gli uomini politici.
Vi è tuttavia una frontiera invalicabile: nessuno deve intaccare gli equilibri costituzionali, che sono pensati per tutti e per un tempo indefinito, per salvaguardare i propri interessi, che sono solo suoi. Non fa differenza se abbia o meno ragione. Nè la vendetta per le ingiustizie eventualmente subite nè, a maggior ragione, la prepotente salvaguardia dei propri torti debbono alterare gli equilibri lungamente studiati e stabiliti.

Certo che queste brevi e semplici considerazioni solo pochi decenni fa sarebbero state superflue, essendo patrimonio condiviso dal comune sentire degli italiani. Oggi si avverte il bisogno di ribadire anche questi concetti basilari della democrazia costituzionale. Questo accade per la netta e triste involuzione culturale ancora in atto, ma anche perchè il nostro è un Paese che ha bisogno di meno regole per rispettarle di più. Meno pene, più certe, uguali per tutti.

18/07/2003





        
  



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