Pace e cultura
| Siete disposti a sopportare le conseguenze che la pace comporta?
di Lucilio Santoni*
Vorrei chiedere alle persone che in questi giorni sbandierano (per) la pace: siete disposti a sopportare le conseguenze che la pace comporta? Io lo sono, mi sento attrezzato per far fronte a quelle conseguenze e pertanto sono a favore della pace. Spero che lo siate tutti voi, ma a scanso di equivoci vorrei ricordare quali sono quelle conseguenze.
Pace vuol dire avere a che fare col poco e caro petrolio che ci arriva. Pace vuol dire non invadere i mercati asiatici. In poche parole, pace vuol dire mantenere il nostro tasso di sviluppo al livello di oggi, e forse vederlo diminuire. I nostri mercati sono saturi.
Chi è abituato a comprare un immobile ogni dieci anni, una automobile ogni cinque, un elettrodomestico ogni mese e un abito ogni due settimane (non parlo quindi di marziani, ma dell'italiano medio) dovrà in parte rinunciare a tutto questo, nel senso che vedrà allungarsi i tempi di acquisto. Il parlamentare di F.I. Brunetta ebbe a dire, in un'intervista di alcune settimane fa: "vorrei togliere gli italiani dal terribile senso di incertezza che li attanaglia". Sono perfettamente d'accordo con lui. Siamo tutti bloccati e direi quasi terrorizzati dal rischio di dover diminuire i nostri acquisti. Qualche grammo in meno di merce fresca nelle nostre case e ne va della nostra salute mentale.
Mi verrebbe da chiedermi, se noi che facciamo parte degli otto grandi siamo così "attanagliati" e disperati, come dovranno sentirsi tutti gli altri? La domanda, naturalmente, essendo puramente razionale, è retorica e inutile. Infatti, nella nostra ansia di merce, di possesso di oggetti che dentro breve tempo divengono spazzatura, si nasconde qualcosa di molto profondo e difficile da afferrare, che non pertiene alla razionalità, e sul quale ci sarebbe tanto da riflettere e da discutere.
L'incertezza di cui parla Brunetta è l'ansia di colmare quel vuoto dentro di noi che a volte è una voragine. Non ci bastano più il dio in alto o le ideologie in basso. L'unica cosa che oggi ci illude ancora di colmare quel vuoto è l'oggetto, sia esso la casa, l'automobile, l'elettrodomestico, l'abito ecc. Solo questo possesso ci dà l'illusione di essere in vita, di essere uomini e donne, esseri viventi.
La guerra non è una sicurezza, certo. Non è detto che eliminando Saddam il nostro tasso di svuluppo crescerà e potremo incrementare sempre di più i nostri acquisti. Ma è il tentativo più semplice. La possibilità più immediata. Altra cosa è lavorare sulle fonti alternative, su una diversa concezione di sviluppo, perché tutto ciò prevede un lavoro sulla cultura, lento e difficile, forse di impossibile realizzazione. A mio parere bisognerebbe provarci. Ma in ogni caso, pur volendo presupporre una riuscita, non potremmo evitare la lunga o forse lunghissima durata del processo di riconversione. E nel frattempo? In quale dolorosa memoria finiranno i "consigli per gli acquisti"?
L'italiano medio è disposto a rinunciare a quell'unica cosa che lo fa sentire vivo? E' disposto a rinunciare alla merce, agli oggetti? E' disposto a rischiare la propria salute mentale per questa rinuncia? Io lo spero vivamente perché, da ateo, voglio credere nei miracoli.
* Poeta.
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01/03/2003
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