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Da Virgilio ad Annibal Caro: un viaggio alle origini della nostra cultura

San Benedetto del Tronto | Un viaggio che ci porta alla scoperta di luoghi del nostro meridione resi immortali e termina poi nell’entroterra marchigiano, dove nacque chi contribuì alla diffusione di un’opera letteraria alla base della nostra cultura nazionale.

di Elvira Apone

la casa natale di Annibal Caro a Civitanova Marche

“V’era, immenso, un antro irto di scogli, cupo, circondato da nero lago e tenebre di boschi. Qui sopra impunemente non potevano volgersi in vol gli uccelli, tale un fiato dalle sue gole all’aria si spandeva; (onde dissero i Greci “Aorno” il luogo)”. Così, nel VI libro dell’Eneide, Virgilio descrive il lago di Averno, uno specchio d’acqua blu di origine vulcanica, che tuttora sorge tra i paesi di Lucrino e Cuma, in Campania. Circondato da un sentiero sabbioso che permette ai visitatori di girargli intorno, in mezzo a lecci, pini mediterranei, salici bianchi e ginestre, il lago di Averno rappresentava, prima per i Greci e poi per i Romani, l’accesso al regno dell’Oltretomba. Per questo, anche il poeta Virgilio nella sua Eneide colloca qui l’ingresso agli Inferi, in cui Enea deve recarsi per rivedere il defunto padre Anchise. Ma prima di giungere al lago per essere traghettato da Caronte nel regno dei morti, Enea deve interpellare, sempre per volere del padre, la sacerdotessa Sibilla, la cui grotta si trova nei pressi del lago di Averno, a Cuma, vicino al tempio di Apollo, il dio da cui viene ispirata per emettere i suoi oracoli.

Cuma, “polis” greca e una delle prime colonie d’occidente, offre ai visitatori lo spettacolo di un mondo arcaico rimasto sepolto per secoli, ma ritornato alla luce in tutta la prorompente vitalità che nuovamente emana. I resti oggi più evidenti della città sono costituiti proprio dai ruderi del tempio dedicato ad Apollo, che si trova sulla terrazza inferiore dell’Acropoli, e di quello di Giove, collocato sull’altura dell’Acropoli; edificati nel periodo più fiorente della vita di Cuma, vennero poi ricostruiti durante l’impero augusteo e collegati tra loro da una strada che partiva dalla parte bassa della città. E proprio sotto la terrazza del tempio di Apollo, si apre l’antro della Sibilla cumana: una sorta di tunnel scavato nella roccia di tufo, che si allarga a forma di caverna per poi ridiventare una galleria piena di sbocchi e cunicoli, riportata alla luce con gli scavi del 1924-1930. Personaggio sempre avvolto dal misticismo e dalla magia, la Sibilla cumana era solita affidare i suoi vaticini a foglie di palma che, alla fine, venivano mescolate tra loro dal vento che entrava nella caverna attraverso le aperture rendendo, così, le sue predizioni spesso indecifrabili e difficili da interpretare. Alcune teorie, però, sostengono che, nel periodo in cui Virgilio ambientò l’Eneide, non esisteva ancora la grotta della Sibilla cumana, per cui sembra plausibile ritenere che Virgilio avesse impropriamente utilizzato la figura della Sibilla Cumana al posto della nostra Sibilla Appenninica, il cui culto era, invece, già esistente a quel tempo. In ogni caso, la Sibilla predice a Enea tutte le guerre e le difficoltà che dovrà affrontare e lo invita, prima di recarsi dal padre Anchise nell’Aldilà, a trovare un ramoscello d’oro nella vicina foresta da sacrificare a Proserpina, la dea dell’Oltretomba, e di dare degna sepoltura al suo compagno Miseno, annegato in mare nei pressi di quella lingua di terra che da lui ha preso il nome: capo Miseno.

Punta estrema della penisola flegrea, nei pressi di Bacoli, capo Miseno si riconosce anche in lontananza per la sua forma troncoconica di antica origine vulcanica. Sembra che in epoca romana abbia rappresentato anche un luogo di sepoltura. Miseno, come vuole la leggenda raccontata da Virgilio, era il trombettiere di Enea e aveva osato sfidare il dio del mare con il suono della sua tromba; per punizione, il dio Tritone lo aveva fatto precipitare in acqua. Enea, dunque, ritrova il corpo di Miseno, lo seppellisce sotto un tumulo dopo le dovute esequie funebri e si affretta a trovare un ramoscello d’oro da portare alla Sibilla, che lo accompagna, così, presso il lago di Averno, dove comincia la sua discesa agli Inferi.

Quasi 1600 anni dopo la composizione dell’Eneide, quel poema che lo stesso Virgilio, prima di morire, aveva ordinato di bruciare, un letterato di nome Annibal Caro, nato a Civitanova Marche, dove oggi sorge il vecchio paese alto in cui si può ancora vedere la sua casa natale (ora sede della Pinacoteca Comunale), decise di imbarcarsi in un’impresa di notevole entità e importanza: la traduzione in volgare dell’Eneide. Nato come esercizio di scrittura in vista della preparazione di un poema epico che Annibal Caro aveva in mente di comporre, ma che mai realizzò, la sua traduzione dell’Eneide si rivelò, in realtà, un’opera autonoma, non esattamente fedele al testo originale di Virgilio, ma sicuramente una riscrittura coraggiosa, un rifacimento che, per quanto contaminato dal periodo storico in cui lui visse, resta tuttavia un’opera di grande rilevanza nella storia della nostra letteratura.

È così che questo viaggio, che comincia a nord del nostro paese, nei pressi di Mantova, dove Publio Virgilio Marone nacque, ci porta alla scoperta di luoghi del nostro meridione resi immortali dalla penna di chi ha saputo restituirceli così come sono, a metà tra mito e realtà, tra storia e leggenda, tra verità e immaginazione, e termina poi nell’entroterra marchigiano, dove ebbe i natali colui che contribuì alla diffusione di un’opera letteraria di gigantesche proporzioni, che resta comunque alla base della nostra cultura nazionale.

02/11/2015





        
  



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