Occhi aperti/Occhi chiusi
| Note su cinema e dintorni
di Dante Albanesi
Occhi aperti
La Passione secondo Pasolini
Placatasi la bufera mediatica del film di Gibson, con il suo delirante corredo di conversioni istantanee, ladri pentiti e guarigioni miracolose, sta tornando sugli schermi un'altra Passione, più vera e più antica: la versione restaurata de "Il Vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini, girato nel 1964.
Radicalmente e "scandalosamente" lontano dai fronzoli dell'iconografia ufficiale, il Cristo di Pasolini vive qui e ora, amorosamente congiunto al nostro presente. Un'impressione di realtà creata con le tecniche (tipiche degli anni '60) del "cinema diretto". Immagini traballanti, imperfette, che sembrano catturate da un giornalista inviato su un fronte straniero: uno sguardo che è allo stesso tempo atterrito e incuriosito da avvenimenti a lui incomprensibili.
Si veda la sequenza dell'Orto degli Ulivi, quasi completamente immersa nel buio; o quella del processo, dove per lunghi minuti la cinepresa è coperta (come uno spettatore fra i tanti) dietro la grande calca del pubblico che contempla muto e immobile gli eventi. Uno stile "povero" che ci riporta ad un Gesù di concretezza medievale, la cui Parola non ha più nulla di romantico e di consolatorio, ma reca un messaggio di rivoluzione sociale, di libertà umana prima che divina. Attori non professionisti, Gerusalemme ambientato tra i sassi di Matera, Bach e Mozart alternati agli spiritual africani: il Sacro di Pasolini ha i sapori della più umile quotidianità.
Occhi chiusi
"In My Country": la Storia tradita
Molti film che partono con l'ambizione di raccontare Storia e Politica finiscono col trovare nuovi modi per falsificarle. È il caso di "In My Country" dell'ex grande regista John Boorman, dove un'immane dramma collettivo (l'Apartheid in Sudafrica) serve solo da pittoresco palcoscenico per inscenare la risaputa passione d'amore fra i due divi di turno.
Il film descrive le opinabili "Commissioni per la verità e la riconciliazione" volute da Nelson Mandela in Sudafrica nel 1995, che si conclusero con incredibili amnistie per un gran numero di assassini e torturatori. Boorman mostra questa palese ingiustizia senza azzardare un giudizio, anzi quasi approvandola; ed effettivamente, vista l'attualità, oggi può far comodo a molti il concetto che un crimine contro l'umanità possa venir condonato...
I protagonisti Juliette Binoche e Samuel L. Jackson gareggiano nell'assumere le espressioni tipiche da "film impegnato" a caccia di Oscar: sguardi affranti, tono di voce cupo sempre in bilico sulla commozione, pose dolenti e riflessive. Il resto del compito lo svolgono ariosi panorami ad uso turistico, musiche etniche, pillole di folklore; a due terzi della trama, la noia alle porte è scongiurata dalla prevedibile digressione romantica; e mentre la storia principale sembra eclissarsi sullo sfondo, si chiude in tono solenne, nel segno di una falsissima pacificazione universale.
Purtroppo, esiste ancora una larga fetta di pubblico (e di critica) che basa il proprio giudizio su "cosa" un film mostra, e non sul "come" lo mostra. In virtù di questo malinteso che confonde il soggetto di un'opera con la sua qualità estetica, capolavori come "Kill Bill" possono essere ritenuti roba commerciale, adatta per ragazzini patiti di fumetti e arti marziali; mentre sciocchezze come "In My Country" ricevono l'immeritata patente di cinema "importante", magari da proiettare al più presto nelle scuole.
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19/05/2004
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