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La buona sanità , quella cattiva, i medici e noi.

| La sanità del 2000 vista da "emme".

di emme

Le sempre più frequenti richieste risarcitorie nei confronti di medici, chirurghi, enti ospedalieri in genere ( circa 15.000 ogni anno), sembra siano diffusamente percepite, dai medici come una minaccia incombente sulla loro professionalità. Si moltiplicano i convegni giuridici sul tema, le relazioni ( sempre giuridiche!), sono diventate un ammennicolo d'obbligo ai congressi medici e, almeno in qualche caso, vere e proprie psicosi individuali.

Il malgoverno del paziente, quando c'è, si  confonde spesso con le conseguenze di deficienze strutturali e le contraddizioni della macchina amministrativa,  troppo spesso incapace,   nella sua logica di efficientismo e risparmio, di agevolare, a favore dell'utente, la cultura medica ovviamente orientata esclusivamente a favore del paziente.

Una storia episodica infinita, mai raccontata per intero, perché il paziente ha altro a cui pensare,  preferisce subire e tacere e, quando le sue faccende di salute finiscono bene, ricorda solo l'abilità dei medici che lo hanno guarito o salvato.

E', comunque, doveroso aggiungere che, accanto a negligenze, insipienze, cartelle cliniche fantasiose, arroganze varie, stanno capacità tecniche eccezionali, intelligenza, ponderata assunzione di rischi che va ben al di là dei protocolli terapeutici, capacità di improvvisare di fronte a situazioni di emergenza e, non infrequentemente, coraggio e genialità nelle camere operatorie.

Certo, il medico ha perso il carisma che ne faceva una figura indiscutibile per il profano e, con quello, se ne è andata la cieca fiducia del paziente che tanta parte ha nelle guarigioni. Ma il punctum dolens è costituito dalla diversa collocazione culturale della scienza ( non più arte! ) medica rispetto al comune sentire: una professionalità prevalentemente tecnica, umiliata da infiniti obblighi burocratici, che tuttavia si vuole al massimo livello artigianale, che contraddice quel che di sacrale connaturato alla medicina.

I media, principalmente, ormai da molti decenni, volgarizzano ogni forma di intervento terapeutico, distruggendo il simbolico caduceo di Asclepio, che pure è, da sempre, costitutivo dell'arte medica e forniscono tavole di paragone ai pazienti. Perché stupirsi o indignarsi se poi la medicina precipita ad affare giudiziario, talvolta a torto, talvolta a ragione, quando proprio  quella volgarizzazione mediatica ha fatto di ogni paziente un medico dilettante, o, quanto meno, lo ha implicitamente invitato a controllare e giudicare l'operato dei medici, fornendogli allettanti quanto semplicistiche conoscenze virtuali ? 

Quando luminari vanitosi od oscuri e famelici operatori, inconsapevoli eredi di concezioni meccanicistiche, vanno in televisione ad illustrare il trattamento di una malattia o la nuova tecnica operatoria, ciò che viene spiegato con ragionevoli e suadenti parole, illustrate da diapositive e disegnino, non è un paziente afflitto da quella specifica malattia, ma una malattia da manichino, teorica, perfetta per diagnosi e prognosi, astratta ed astrattamente curata, che, normalmente, prescinde dalla presentazione delle percentuali di insuccesso e dalla indispensabile, per il malato, analisi prognostica.

Voglio dire, che, se un luminare illustra in televisione la più recente tecnica per l'asportazione di un callo del piede, quando si va a tradurre nella realtà della diversità dei piedi umani quella tecnica, per raffinata che sia, spesso le cose vanno altrimenti e si complicano  ( allora si parla di "storie aneddotiche", che,  si sa, non fanno prova…). E , appunto, " complicazioni", sono chiamate le soggettività che fanno di ogni malato un caso a se e quelle variabili indipendenti che obbligano il medico a lasciare il manuale ed a studiare quel paziente. Ma il paziente che ha sofferto di quelle " complicazioni", avendo visto in televisione che l'ablazione del suo fastidiosissimo callo si  sarebbe risolta in mezza giornata, non accetta di esser dovuto restare  in ospedale una settimana e, se è litigioso ed amico di qualche avvocato, fa causa al medico che lo ha operato.

E che dire della ossessiva pubblicità commerciale di rimedi farmaceutici? – Si sa che un farmaco ha ,sempre, specifiche controindicazioni ed effetti collaterali nocivi e che solo un medico può dire se quel farmaco è adatto a quel particolare paziente e in che misura. Certamente non può farlo uno spot tv di pochi secondi. Ma se un dottore rifiuta il farmaco che il paziente ha visto magnificato in televisione, si vedrà guardato con diffidenza, posto in sospetto di non essere aggiornato e, quel che è peggio, sfiduciato dal paziente. Anche questo concorre al declassamento culturale della funzione del medico ed all'involgarimento della medicina. Né si può tacere che pochi sanno ormai <spedire> una ricetta galenica e che farmaci che potrebbero essere risolutori non si fanno perché la molecola di base non è brevettabile e, quindi, non porta profitti.

Medicina e chirurgia, spogliate degli etimi omerici e di quelli anglosassoni, non sono cose difficilissime, ma, per capirle, occorrono quantità enormi di nozioni e conoscenze casistiche che le rendono inaccessibili al profano. In più occorre quel che di indefinibile, di intuitivo, di simpatetico che è caratteristico dei bravi medici. Che senso ha, allora, questo continuo bombardamento dei media ( Il medico per tutti – Il medico fai da te – I segreti della medicina – Il romanzo delle cellule staminali – Il trapianto oggi – L'ora della medicina – Il quarto d'ora della laparocentesi – I dieci minuti del parto indolore – La bellezza viene dal bisturi – I segreti della mastoplastica ( vietato ai minori!) etc.etc.), che offrono la medicina come un banale bene di consumo? –

Si è mai visto un ingegnere che venga in televisione ad illustrarci i calcoli in cemento armato di un grattacielo o il modo per calcolare sezione e carico di un'arcata di ponte? – E'soltanto un caso che si parli con sempre maggiore insistenza di "automedicazione", o la cosa ha anche a che fare con l'enorme quantità di prodotti " da banco" ( ' attenzione è un medicinale!', c'è spesso scritto…), per i quali non occorre ricetta, ma una gran quantità di Euro?. – La immanenza del problema è tale che , a rimedio, ecco trasformarsi il " medico di famiglia" in " medico internista", che, fra l'altro, dovrebbe avere una visione globale dello specifico paziente, ma spesso non l'ha perché troppo impegnato a scrivere ricette ed a correre dietro ad infinite ed infinitamente rinnovate, pastoie burocratiche.

E, che senso ha, per esempio, pubblicizzare sui media una evoluzione delle tecniche radiografiche, da ultimo la TAC-Spirale, come se lettori di giornali e spettatori televisivi avessero le approfondite conoscenze mediche e tecniche che servono per capire vantaggi e limiti di quella evoluzione tecnologica? – Ancora: è giusto ed utile pubblicizzare " integratori alimentari", acquistabili senza ricetta,  che tutti sanno, sono anche componenti dei cocktail dopanti degli atleti?. E che dire della pubblicità di certi interventi che con la medicina hanno poco a che fare? E' di ieri l'ossessiva quanto entusiastica presentazione – udite, udite! – dell'ultima tecnica per " sollevare i glutei".

Una cosa da nulla, basta attaccare un paio di tiranti al coccige e in basso non so dove e il miracolo è fatto e casalinghe e massaie rurali vivranno felici e sculettanti. Taccio, per non rinnovare disgusto ed indignazione, di quelle trasmissioni tv che mostrano le riprese di cruente mastoplastiche, brutali liposuzioni, scalpellamento di nasi etc, suadenti persuasori che un naso aquilino, un mento sfuggente, un seno troppo grande o troppo piccolo sono non già un naturale polimorfismo, ma vere e proprie malattie.
Il tutto tacendo quali, quanto e quanto gravi sono i rischi di certi non necessari interventi.

Questa smania volgarizzatrice che sembra rendere facile ciò che facile non è, utile ciò che è inutile, appetibile il labbro siliconato ed asimmetrico, intollerabile quel naso orgoglioso fornito da madre natura, suscita aspettative nel profano, declassa l'arte medica, sopprime il rapporto individuale medico-paziente che ha fatto la storia pratica della medicina.

Del resto, la banalizzazione mediatica suscita mpolti dubbi. Se tutto è così semplice ed evoluto, perché spesso non si guarisce, non si migliora, o, peggio, perché ci si ammala? – Per colpa del paziente, è ovvio! : ha mangiato troppo, o troppo poco,  ha bevuto troppo, ha fumato troppo, ha fatto poco moto, ha fatto troppo moto; giudizi severi che, se applicati ad un paziente novantenne, fanno ridere. In buona sostanza, un modo pedestre per superare l'antico, angoscioso problema della presenza del male nel mondo e per esorcizzare vecchiaia e morte, naturalissime conclusioni della vita.

Il tutto a prescindere che ognuno ha la sua ricetta per vivere più a lungo ed ogni ricetta fa  a pugni con le altre. Non è cambiato niente da quel giorno che presentarono ad Ottaviano Augusto un centenario che richiesto del segreto di quella lunga e vegeta vecchiaia, rispose " il mulsum ( vino al miele) per il dentro, l'olio ( unguenti profumati) per fuori".

La colpevolizzazione del  paziente indusse qualche anno fa i medici inglesi,  fermati appena in tempo, a codificare che i fumatori recidivi fossero retrocessi agli ultimi posti nelle liste d'attesa operatorie ( in pratica una condanna a morte…). I consigli sullo stile di vita sono vecchi quanto il mondo colonizzato dagli uomini, ma non si era mai raggiunta una simile intensità colpevolizzante, quasi che sia ormai radicato il pensiero recondito che l'Uomo non muore, ma si uccide. Fin dalla protostoria greca, nei templi di Asclepio si entrava leggendo quegli ammonimenti famosi: <Conosci te stesso> ( e pensa secondo il <Retto Pensiero> ) e <Nulla Troppo>, vale a dire, coscienza di se, dominio dei conflitti interiori, moderazione in tutto, equilibrio fra il desiderare ed il soddisfare (come dire :  alzarsi da tavola con un po' d'appetito…). A ben vedere sono le stesse cose che predicano gli odierni clinici, anche se il <consumismo> ha reso tutto più difficile.

In buona sostanza, è andata persa la distinzione concettuale fra medico-studioso e medico-curante, il primo dedito, anche, alla definizione dello stile di vita ideale, il secondo impegnato nella cura, nella lotta per  la guarigione dell'uomo malato, indifferente a quanto di soggettivamente eziologico vi possa essere in quella specifica malattia.

Capisco che medicina sociale, esasperata specializzazione, interdisciplinarità tecnica, progressivo aumento della domanda di cure, costi, ormai astronomici e non più controllabili, della spesa sanitaria, congiurano per realizzare l'ideale della medicina a gettone: un ticket e viene fuori la diagnosi; altro ticket e si va in lista di prenotazione, ma per far presto, via dalla lista e, a pagamento, ma fuori orario, stesso medico, stesso ospedale, stesse macchine e si ha subito la diagnosi. Dopo di che un altro tickett ancora ed eccoci in mano a sconosciuti in sala operatoria. Se questa asettica procedura è la medicina dell'avvenire, dobbiamo accettarla ( ma con qualche mugugno…).

Resta da spiegare come si possa conciliare questa situazione, al di là delle applicazioni meramente formali, con la filosofia del " consenso informato", che presuppone una rapporto di intimità, comprensione e fiducia  fra medico e malato, che non può essere improvvisato nell'anticamera della sala operatoria.

La contropartita di questa situazione, accantonato il sempre più frequente ricorso a medicine alternative o peggio, è, va da se, la perfezione dei trattamenti terapeutici. Terreno insidioso, questo, perché se l'errore è scusabile nella diagnosi clinica, quando ci si affida a diagnosi e tecniche strumentali, ogni negligenza , insufficienza, insipienza nell'uso di quegli strumenti, dovrebbe allora avere il suo prezzo.

Se è vero che ogni malato è un caso a se, non sempre perfettamente sovrapponibile al malato-tipo, la scomparsa del rapporto simpatetico medico-malato, rende difficile riconoscere le specificità di quel malato e spesso inadeguate le cure.

La conseguenza per il medico, quando il paziente ci lascia le penne, se è stata manchevole l'assistenza, la tecnica, la strumentazione, la diagnosi e tutto quel che volete voi, è il tentativo di azione risarcitoria. Riservate ai giuristi le Sottili Questioni di Diritto, che lasciano il tempo che trovano, sarebbe forse più utile che medici e pazienti si dedicassero a qualche riflessione di filosofia della medicina.

14/03/2004





        
  



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