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La buona sanità , quella cattiva, i medici e noi.

| Riservate ai giuristi le Sottili Questioni di Diritto sarebbe forse più utile che medici e pazienti si dedicassero a qualche riflessione di filosofia della medicina.

di emme

Le sempre più frequenti richieste risarcitorie nei confronti di medici, chirurghi, enti ospedalieri in genere, sembra siano percepite, come fenomeno generale, dalla categoria interessata, come una minaccia incombente alla professionalità. Si moltiplicano i convegni giuridici sul tema, le relazioni ( sempre giuridiche!), diventate un ammennicolo d'obbligo ai congressi medici e, almeno in qualche caso, vere e proprie psicosi individuali.

E' capitato recentemente in un " centro d'eccellenza", che un paziente ricoverato per una gravissima patologia, a cui nessuno aveva chiesto nulla, fosse verbalmente aggredito per aver dimenticato che 40 anni prima aveva avuto una reazione ad un mezzo di contrasto. Un medico furente lo accusò, in pratica, di averlo fatto apposta " …così potrà rivalersi su di noi!…"! – Peggio ancora, particolare rivelatore, al paziente che segnalava dimenticanze e negligenze in atto , ribatteva : " I medici siamo noi e solo noi sappiamo quel che si deve fare e non fare!" . – Alla faccia del " consenso informato" ed altre baggianate di legge!.

            Una storia episodica infinita, mai raccontata per intero, perché, ovviamente, il paziente ha altro a cui pensare,  preferisce subire e tacere e,quando le sue faccende di salute finiscono bene, ricorda solo l'abilità dei medici che lo hanno guarito o salvato. E', comunque, doveroso aggiungere che, accanto a negligenze, insipienze, cartelle cliniche fantasiose, arroganze varie, stanno capacità tecniche eccezionali, intelligenza, ponderata assunzione di rischi che va ben al di là dei protocolli terapeutici, capacità di improvvisare di fronte a situazioni di emergenza e, non infrequentemente, coraggio e genialità nelle camere operatorie.

            Certo, il medico ha perso il carisma che ne faceva una figura indiscutibile per il profano e, con quello, se ne è andata la cieca fiducia del paziente che tanta parte ha nelle guarigioni. Ma il punctum dolens è costituito dalla diversa collocazione culturale della scienza ( non più arte! ) medica rispetto al comune sentire: una professionalità prevalentemente tecnica, umiliata da infiniti obblighi burocratici, che tuttavia si vuole al massimo livello artigianale. I media, ormai da molti decenni, volgarizzano ogni forma di intervento terapeutico, distruggendo quell'elemento sacrale che pure è , da sempre, costitutivo dell'arte medica e fornendo tavole di paragone ai pazienti. Perché stupirsi o indignarsi se poi la medicina precipita ad affare giudiziario, talvolta a torto, talvolta a ragione, quando proprio  quella volgarizzazione mediatica ha fatto di ogni paziente un medico dilettante, o, quanto meno, lo ha implicitamente invitato a controllare e giudicare l'operato dei medici, fornendogli allettanti quanto semplicistiche pietre di paragone ? – Quando luminari od oscuri e famelici operatori, vanno in televisione ad illustrare il trattamento di una malattia o la nuova tecnica operatoria, ciò che viene spiegato con ragionevoli e suadenti parole, illustrate da diapositive e disegnino, non è un paziente afflitto da quella specifica malattia, ma una malattia da manuale, teorica, perfetta per diagnosi e prognosi, astratta ed astrattamente curata, che, normalmente, prescinde dalla presentazione delle percentuali di successo.

Voglio dire, che, se un luminare illustra in televisione la più recente tecnica per l'asportazione di un callo del piede, quando si va a tradurre nella realtà della diversità dei piedi umani quella tecnica, per raffinata che sia, spesso le cose vanno altrimenti e si complicano. E , appunto, " complicazioni", sono chiamate le soggettività che fanno di ogni malato un caso a se ed obbligano il medico a lasciare il manuale ed a studiare quel paziente. Ma il paziente che ha sofferto di quelle " complicazioni", avendo visto in televisione che l'ablazione del suo fastidiosissimo callo si  sarebbe risolta in mezza giornata, non accetta di esser dovuto restare  in ospedale una settimana e, se è litigioso ed amico di qualche avvocato, fa causa al medico che lo ha operato.

            E che dire della ossessiva pubblicità commerciale di rimedi farmaceutici? – Si sa che un farmaco ha ,sempre, specifiche controindicazioni ed effetti collaterali nocivi e che solo un medico può dire se quel farmaco è adatto a quel particolare paziente e in che misura. Ma se un dottore rifiuta il farmaco che il paziente ha visto magnificato in televisione, si vedrà guardato con diffidenza, posto in sospetto di non essere aggiornato e, quel che è peggio, sfiduciato dal paziente. Anche questo concorre al declassamento culturale della funzione del medico ed all'involgarimento della medicina.

             Medicina e chirurgia, spogliate degli etimi omerici e di quelli anglosassoni, non sono cose difficilissime, ma, per capirle, occorrono quantità enormi di nozioni che le rendono inaccessibili al profano. Che senso ha, allora, questo continuo bombardamento dei media ( Il medico per tutti – Il medico fai da te – I segreti della medicina – Il romanzo delle cellule staminali – Il trapianto oggi – L'ora della medicina – Il quarto d'ora della laparocentesi – I dieci minuti del parto indolore – La bellezza viene dal bisturi – etc.etc.), che offrono la medicina come un banale bene di consumo? – Si è mai visto un ingegnere che venga in televisione ad illustrarci i calcoli in cemento armato di un grattacielo o il modo per calcolare sezione e carico di un'arcata di ponte? – Questa smania volgarizzatrice che sembra rendere facile ciò che facile non è, suscita aspettative nel profano, declassa l'arte medica, sopprime il rapporto individuale medico-paziente che ha fatto la storia pratica della medicina. Ricordo  i giorni in cui Barnard sostituiva il primo cuore umano. Una gran giornata per la chirurgia, un successo tecnico indiscutibile, ma… il paziente poi morì: Vale a dire, un insuccesso clamoroso del caso trattato. Mi si dirà che il progresso della scienza vuole le sue vittime. E' giusto, ma la scienza è una cosa, la medicina, invece,  è l'arte di curare, se non guarire, il proprio simile, che non è una cavia, ha un nome, un cognome ed una sua personalissima " storia clinica".

            Del resto, la semplificazione mediatica suscita qualche dubbio. Se tutto è così semplice ed evoluto, perché spesso non si guarisce, o, peggio, perché ci si ammala? – Per colpa del paziente, è ovvio! : ha mangiato troppo, o troppo poco  ha bevuto troppo, ha fumato troppo, ha fatto poco moto, ha fatto troppo moto. La colpevolizzazione del  paziente indusse qualche anno fa i medici inglesi,  fermati appena in tempo, a codificare che i fumatori recidivi fossero retrocessi agli ultimi posti nelle liste d'attesa operatorie ( in pratica una condanna a morte…). I consigli sullo stile di vita sono vecchi quanto il mondo colonizzato dagli uomini, ma non si era mai raggiunta una simile intensità colpevolizzante. In buona sostanza, è andata persa la distinzione concettuale fra medico-studioso e medico-curante, il primo dedito alla definizione dello stile di vita ideale, il secondo impegnato nella cura, nella lotta per  la guarigione dell'uomo malato, non certo nella ricerca delle cause remote della malattia.

            Capisco che medicina sociale, esasperata specializzazione, interdisciplinarità tecnica, progressivo aumento della domanda di cure, costi, ormai astronomici e non più controllabili, della spesa sanitaria, congiurano per realizzare l'ideale della medicina a gettone: un ticket e viene fuori la diagnosi; altro ticket e si va in lista di prenotazione, un altro ancora ed eccoci in mano a sconosciuti in sala operatoria. Se questa asettica procedura è la medicina dell'avvenire, dobbiamo accettarla ( resta da spiegare come si possa conciliare, al di là delle applicazioni meramente formali, con la filosofia del " consenso informato", che presuppone una rapporto di intimità, comprensione e fiducia  fra medico e malato, che non può essere improvvisato nell'anticamera della sala operatoria). Ma la contropartita è, va da se, la perfezione dei trattamenti terapeutici: ogni negligenza , insufficienza, insipienza deve allora avere il suo prezzo. E, se è vero che ogni malato è un caso a se, non sempre perfettamente sovrapponibile al malato-tipo, la scomparsa del rapporto simpatetico medico-malato, rende difficile riconoscere le specificità di quel malato e spesso inadeguate le cure. La conseguenza per il medico, quando il paziente ci lascia le penne, è il tentativo di azione risarcitoria. Riservate ai giuristi le Sottili Questioni di Diritto, che lasciano il tempo che trovano, sarebbe forse più utile che medici e pazienti si dedicassero a qualche riflessione di filosofia della medicina.                                                                       

13/07/2003





        
  



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